Questa è una di quelle occasioni in cui per dare un contesto alla valutazione complessiva di un album (vabbè, due) bisogna fare una premessa: al contrario dell’ultimo dei Cave In, in cui l’emozione mi aveva travolto, questa volta mi sento di essere più distaccato e di dare una panoramica più ampia al giudizio. Il voto finale infatti risente anche del così detto contorno, oltre che della musica di per sé, quindi se siete straniti, leggete tutta la recensione e capirete cosa intendo. Seminar IX: Darkness of Being e Seminar VIII: Light of Meaning, che da ora saranno Seminar, potevano e dovevano essere un unico meraviglioso disco, esente da distrazioni, vizi e inutili imbottiture.
Rimango convinto che una band contenente così tanto puro talento come gli Old Man Gloom non abbia bisogno di stiracchiare ogni singolo brano con delle parti noise completamente a caso, così come penso non abbia minimamente bisogno di spezzare una release e di pubblicare due mezzi album pieni di interruzioni. L’ascolto di Seminar è fastidioso, questi continui intermezzi noise, ambient e cacofonici distruggono l’atmosfera e il feeling del lavoro, mandando a monte qualsiasi forma di coesione e di focus.
Ed è un vero peccato, perché con impegno, accuratezza e dedizione emerge la qualità. E’ risaputo che Aaron Turner tramuti in oro tutto ciò che tocca, ed è altrettanto innegabile sia il talento del resto della band che l’enorme sensibilità compositiva del compianto Caleb Scofield.
Alcuni brani infatti riescono ad emergere nonostante la totale confusione in cui gli Old Man Gloom ci trascinano. “Heel To Toe”, “Love Is Bravery” e la struggente “Calling You Home” lasciano veramente tanto, nonostante la fatica che si fa a dar un contesto allo stile, allo spazio in cui vengono collocati i brani, allo scorrere inesorabile di minuti di rumori sinistri. Danno l’idea di essere delle perle calate nella desolazione, lasciate lì mezze in vista per chi è capace di vincere l’inerzia ed appropriarsi dell’ascolto di Seminar. Non totalmente sbagliato come approccio, ma sicuramente posto nella maniera più eccessiva e intransigente. Le scelte stilistiche dei due lavori non sono chiarissime, alcuni brani hanno un approccio più duro e diretto, altre sono un compromesso di grinta e melodica malinconia. Ancora una volta una coesione che latita, innegabile comunque che quando la band si muove in una direzione concordante, l’amalgama che ne risulta è eccellente, al di là delle evidenza con cui Turner aggiunge un po’ di sapor di Sumac da una parte o un po’ di polvere di Isis dall’altra. Capiamoci, musicalmente parlando è un lavoro di grande qualità, ma trovo perda appeal nel suo complesso. Se avessero condensato la semplice musica in un disco/EP probabilmente avremmo una release da top ten del 2020.
Ora che sono sul finire di una recensione quantomeno critica, posso dedicarmi un attimo a quanto traspaia, ancora più evidentemente, la longevità artistica di Caleb Scofield. Recensire i suoi lavori postumi dà ancora più dimensione ad un personaggio artisticamente enorme. Con questa piccola riflessione, vi lascio all’ascolto, potreste carpire qualcosa che a me sfugge.
(Profound Lore Records, 2020)
Seminar VIII: Light of Meaning
1. EMF
2. Wrath of the Weary
3. True Volcano
4. Final Defeat
5. Calling You Home
6. By Love All Is HealedSeminar IX: Darkness of Being
1. Procession of the Wounded
2. Heel to Toe
3. The Bleeding Sun
4. Canto de Santos
5. Death Rhymes
6. In Your Name
7. Love is Bravery
6.5