Con il loro nuovo lavoro gli Olhava vogliono immortalare una stasi maestosa, quella della natura che sta riprendendo i suoi spazi all’arrivo della primavera ma viene travolta da una ricaduta glaciale, che la congela in tutto il suo fascino. Un paesaggio immoto, tra vita e morte, che ha spinto il polistrumentista e cantante Andrey Novozhilov e il batterista Timur Yusupov a scrivere Frozen Bloom. Dopo il buon Ladoga, uscito lo scorso anno, il duo cerca di far evolvere il proprio blackgaze con trame drone che donano alla musica passaggi d’ampio respiro più delicati, ben legati all’atmosfera generale.
I due musicisti condividono anche un altro progetto, i Trna, da cui pur avendo diverse affinità a livello di arrangiamenti son bravi a discostarsi, con l’aggiunta di parti vocali e la ricerca di scenari diversi. Si ha così un prodotto distinguibile tra le due realtà, da una parte sensazioni oniriche e ricerche spirituali, mentre in questo caso ci si addentra nell’imponenza della natura. Il ritorno improvviso del gelo, che brutalmente blocca la rinascita primaverile, è una metafora per parlare dei sogni non realizzati, di come i nostri sacrifici siano tutti subordinati a un futuro astratto, che potrebbe non accadere. Ecco che nella musica si incarna un senso melanconico costante, con dei momenti di speranza chimerica, che sfiorano l’ascoltatore solo di sfuggita.
La proposta del duo est europeo non è certamente innovativa, richiama alle atmosfere di realtà quali An Autumn For Crippled Children e Lascar, tra gli altri, con dei sentori degli Austere, cercando di renderle più dilatate e glaciali vista la durata dei pezzi e in relazione alle tematiche trattate. Oltre alle similarità esposte, che riguardano specialmente i due pezzi prettamente black metal, ovvero “The Queen of Fields” e “Frozen Bloom I”, ci sono anche momenti che valorizzano il disco e non lo rendono totalmente inespressivo. In primis, la controparte ambient/drone continua a far parte della ricerca sonora dei Nostri, ed è una componente che qui si prende una notevole fetta dell’ascolto, andando a definire gli altri due brani: “Adrift” e “Frozen Bloom II”. Si tratta di momenti flemmatici, di contemplazione della natura nel suo fascino immoto e di riflessione. Da segnalare anche, in “Frozen Bloom I”, la collaborazione con A. Lunn (Panopticon), il quale si è occupato dell’assolo di chitarra, delle parti acustiche e di quelle corali ed è riuscito a creare un piacevole momento di stacco a metà pezzo.
Frozen Bloom è un disco di luci e ombre, senza dubbio meritevole d’ascolto, scorrevole e in grado di donare un’ora di buona musica con la sua semplicità e le sue atmosfere estatiche, ma allo stesso tempo difficilmente rimarrà impresso dicendo qualcosa di nuovo. Il peso delle varie influenze lascia un retrogusto amaro alla fine della riproduzione, si sente del potenziale inespresso e dopo Ladoga ci si poteva aspettare un passo in avanti più deciso. L’auspicio è che questo salto di qualità sia stato soltanto rimandato al prossimo lavoro, sarebbe un peccato dover continuare a relegare gli Olhava a una delle tante realtà facenti parte del sottobosco del black metal più atmosferico senza che riescano a uscirne.
(Avantgarde Music, 2021)
1. The Queen of Fields
2. Adrift
3. Frozen Bloom I
4. Frozen Bloom II