Prometeo, il titano ‘buono’, il padre putativo della tecnica, il pazzo visionario che sfidando Zeus donò il fuoco agli uomini e per questo pagò caro. Insomma, un tipo non da poco. Qualsiasi cosa abbia spinto gli Ornaments a cimentarsi con un personaggio così complesso e un tema così classico per il loro nuovo disco (una reminiscenza della quinta ginnasio? Un amore segreto per la tragedia greca? Chi può dirlo?), questo Drama ha il pregio di portare la musica del quartetto su un terreno inedito pur allineandosi al retrogusto ed immaginario pseudo-epici che hanno venato molte delle recenti uscite in ambito post-hc strumentale. Sarà un caso?
Fuor da ogni dubbio, gli Ornaments sono una delle band italiane di spicco – assieme ad alcune altre ma non troppe (penso agli Zippo e ai Lento, ad esempio) – nate, seppure in coda, in risposta all’ondata strabordante di post hc proveniente da oltreoceano negli ultimi quindici anni. Ora, sostenere che il filone si sia un po’ infiacchito, per non dire che fosse già sul viale del tramonto con la fine dell’epopea degli Isis, è fare una constatazione tutto sommato realistica, ma nonostante il secondo disco sulla lunga distanza veda la band nostrana in gioco su di un campo dove molto è già stato detto, il risultato sembra reggere bene i paragoni con i pilastri del genere senza nemmeno sfigurare con i tempi che corrono, e forse proprio grazie a questa nuova vena d’ispirazione/fascinazione per soggetti arcaici e mitologici di cui si parlava pocanzi sia da parte delle band che da parte del pubblico.
Ma veniamo alla musica. “Efesto”, un’intro atmosferica che pulsa metallica e minacciosa come un polmone artificiale, apre il sipario su “Prometheus”, la traccia che introduce il protagonista in tutta la sua forza e intelligenza, ma che intorno ai tre minuti ne svela anche la fragilità e l’incertezza con uno stacco che spoglia il pezzo della sua coltre distorta e ne restituisce un lamento che si trascina a passo di condannato verso un secondo e definitivo momento rabbioso. A seguire “Oceano”, prima delle tracce arricchite dalla voce sciamanica e maligna di Lili Refrain, musa nostrana alla stregua e sulla linea di Jarboe (arruolata dai Neurosis per confezionare il disco omonimo del 2003), e più recentemente di Julie Christmas (con la sua partecipazione a Mariner dei Cult Of Luna dello scorso novembre). Se la collaborazione sia nata per puro caso o fosse mirata ad impreziosire ed enfatizzare alcuni brani del disco non ci è dato a sapere, fatto sta che come il verso di una prefica la voce della Lili si aggiunge agli strumenti cambiandone sostanzialmente i connotati, e spezzando il primato sonico lasciato alle chitarre e alla sezione ritmica. “Ermes” ci scaraventa nel vivo della tragedia con un’intro martellante e concentrico di basso e batteria seguito da inserti di chitarra e una sezione centrale occupata da stacchi e timpaniche massicce come la roccia alla quale è incatenato Prometeo. “Aeternal” riporta un apparente stato di calma e ripropone la voce di Lili a supporto di strutture prima cantilenanti e poi telluriche, a metà strada tra Kilimanjaro Darkjazz Ensemble e i Battle Of Mice, mentre “Suneidesis” si pone come un intermezzo in crescendo che fa da contrappunto alla liricità di “Io”, scarna e riflessiva evocazione della sacerdotessa nei suoi tre minuti scarsi di durata. Il disco si chiude con la minacciosa “Zeus”, guidata da un basso trainante che cede presto il palco a sfuriate chitarristiche acide quanto la collera del dio e ad un finale in semi-dissolvenza immerso in echi lontani di archi.
Drama sembra quindi articolarsi su momenti diversi che lo rendono vario nonostante la monoliticità del suono e, se vogliamo, certa monotonia del genere in cui si può collocare. L’impressione generale che se ne ha anche dopo più ascolti è che la band abbia voluto suddividere l’epopea di Prometeo in atti – a mo’ di rappresentazione teatrale classica, come d’altronde suggerisce il titolo stesso – ciascuno connotato da un particolare mood e in più di un caso da un motivo conduttore che fa da spina dorsale al singolo pezzo. Stilisticamente si avverte un ulteriore livello di maturazione rispetto al materiale degli esordi: l’articolazione/propulsione ritmica del precedente Pneumologic non è più la regina del palcoscenico, viceversa si fanno largo vuoti e spazi più dilatati a far respirare il tutto, a creare sacche di ansia e sconforto, e una nuova vena compositiva traspare anche dagli arrangiamenti per archi dei pezzi più lirici del lotto. A far da ciliegina sulla torta il grande lavoro effettuato dietro le quinte da Luca Tacconi ed Enrico Baraldi (bassista della band e nuovamente addetto alla ‘regia’) che non lascia niente al caso, concedendo anzi a ciascun strumento il proprio spazio ed enfatizzando in particolare gli intrecci chitarristici – degni dei migliori Isis ma anche memori della sobrietà compositiva degli ultimi Kowloon Walled City – e donando stanza e profondità cavernose ai fusti della batteria.
C’è pathos da vendere in questo Drama – ne emerge appieno la tragicità del soggetto – e lo si sente anche e soprattutto nella trama tessuta dai quattro e dall’onda d’urto generata dai suoni. Quel che però sembra mancare – o che semplicemente mi è sfuggito – è un picco: quell’apice scenico tale da innescare prima la risoluzione e poi la catarsi necessaria perché – a tragedia compiuta – si diffondano i suoi effetti benefici e liberatori. Un po’ come è successo dopo l’ascolto degli ultimi Russian Circles, conclusa l’estenuante cavalcata epica ci si sente un po’ smarriti e ci si domanda dove in realtà si fosse diretti. Ma dopotutto non possiamo pretendere: forse il senso di sospensione sta proprio qui, nel fatto che anche noi come Prometeo siamo destinati a subire il ripetersi (degli eventi) senza vederne o prevederne la fine, e senza capirne in fondo il perché.
(INRI, Tannen Records, 2016)
01. Efesto
02. Prometheus
03. Oceano
04. Ermes
05. Aeternal
06. Suneidesis
07. Io
08. Zeus
7.5