PANOPTICON è la gabbia in cui abbiamo volontariamente scelto di isolarci. Uno spazio che dedichiamo alla musica che più ci piace, e di cui preferiamo parlare senza alcuna fretta. Da, diamo uno sguardo a tutto ciò che abbiamo trascurato nei mesi scorsi e facciamo una cernita delle primizie musicali più particolari, assorbendo e godendo di ogni loro cellula.
WORMROT > HISS
Inizierei il pezzo scrivendo che tutti conosciamo i Wormrot, è ormai da una decade che ci massacrano con il loro grindcore devastante, ma… davvero li conosciamo? Eh sì, questa domanda mi è venuta in mente durante l’ascolto peché Hiss non è il disco dei Wormrot che ci si aspetta. È vero che il precedente Voices conteneva diverse stranezze provenienti da mondi come il black metal e il punk, ma erano poche e abbastanza segregate in pochi pezzi, ma Hiss, beh qui il discorso è diverso e come ho detto: non possiamo più dirci conoscitori intimi della band di Singapore. Hiss è un disco che si presenta sì come un disco grindcore abbastanza tradizionale, ma le certezze cadono rovinosamente con brani come “Broken Maze” che spara addosso melodie vocali sporadiche che cambiano completamente la percezione del pezzo e di sicuro non fa eccezione un pezzo come “When Taking Fails, It’s Time for Violence!” che ci fa sentire sonorità che richiamano gli Agnostic Front di tempi ormai andati. La lista in realtà è molto lunga di queste piccole bizzarrie che i Wormrot hanno voluto inserire e se posso permettermi, ci si trova di fronte a un disco molto personale, che in un panorama molto vasto ha sicuramente un suo carattere rispettabilissimo, ma se si ragiona nel piccolo della band, allora dico che questo è l’apice compositivo della band, senza ombra di dubbio. (Antonio Sechi)
FOALS > LIFE IS YOURS
Dopo un mese di ascolto praticamente ininterrotto di Life is Yours, l’ultimo album dei Foals, ho capito che la band inglese è una vera e propria macchina da combattimento dell’entertainment. Con questo nuovo capitolo, il gruppo capitanato da Yannis Philippakis, sembra voler tagliare quel sottile filo che lo teneva ancorato al rock più aggressivo per abbracciare definitivamente un indie-pop carico di chitarre funk dai richiami new wave anni 80. Se nelle opere precedenti ci si poteva imbattere in brani più riflessivi, nelle tredici tracce che compongono Life Is Yours non c’è spazio e tempo da dedicare alla malinconia. Tutto procede in modo spedito con groove di basso e tastiera che ci portano all’interno di una sorta di post-disco composto e realizzato con grandissimo ritmo e modernità. Una tracklist solare, nata con l’intento di scuotere e fare ballare, che trova pochissimi lati oscuri e sforna un singolo dopo l’altro attraverso lo stile riconoscibile dei Foals. Tra i brani da segnalare la giocosa “2am” con i classici fraseggi di chitarra tipici del gruppo, “2001” che gioca con ritmiche impressionanti e “Under The Radar” con suoni di basso che potrebbero uscire da un neo noir di Micheal Mann. Semplicemente l’album perfetto per questa torbida estate. (Matteo Bozzuto)
CONJURER > PàTHOS
Per gli inglesi Conjurer è arrivato il momento di dimostrare tutto il proprio valore, dopo dei primi anni di carriera che hanno portato a risultati ragguardevoli. L’esordio Mire del 2018 ha ricevuto un’ottima risposta, così come la collaborazione con i Pijn dell’anno successivo, e per la pubblicazione del nuovo Pàthos il quartetto inaugura pure il proprio contratto con una major quale Nuclear Blast Records. Insomma, la crescita dei Nostri non è passata inosservata e i tour in supporto a colossi quali Celeste ed End l’hanno certamente agevolata. Con questo nuovo album l’intenzione, ben riuscita, è quella di rendere ancora più variegata e tagliente la propria proposta, uno sludge impetuoso che in questa sede allarga i propri orizzonti implementando maggiori influenze. I riff spaccaossa e coinvolgenti non vengono a mancare, riprendendo così le fondamenta su cui si ergeva il precedente Mire, ma son molti gli spunti che trovano il loro spazio nelle composizioni aggiungendone valore. Ci sono incursioni in acustico, momenti carichi di potenziale espressivo e di malinconia, melodie estasianti e più voci che vengono chiamate in causa. Questa varietà non può che fortificare il sound dei Conjurer, che parte dallo sludge e lo mantiene come elemento centrale, ma trova i propri limiti tra black metal e post-rock. (Jacopo Silvestri)
SOUL GLO > DIASPORA PROBLEMS
Tra i cassonetti rovesciati e i lampioni sfarfallanti della periferia più lurida e fredda che possiate immaginare si aggirano i Soul Glo, quattro ragazzi che con la propria musica cruda e pazzoide ci buttano in faccia le dure vite degli ultimi e dei dimenticati. Lo stile dei nostri combina dagli inizi hip-hop e hardcore a dare qualcosa di estremamente riconoscibile, complice la formidabile duttilità delle vocals. Nell’ultimo lavoro della band, Diaspora Problems (fuori il 25 marzo scorso) le aggressive parti rappate e le raffiche punk vengono impreziosite da influenze jazz, di quel jazz da film che proietta immagini di tombini fumanti e sparatorie nei vicoli. Con “Thumbsucker” o “Spiritual Level of Gang Shit”, per citarne due, si manifestano attorno all’ascoltatore delle atmosfere che molto raramente musica così veloce ed aggressiva riesce a creare. Anche pezzi come la opener “Gold Chain Punk” o “Driponomics” colpiscono per la potenza espressiva e la strabiliante capacità di questi ragazzi di conciliare generi distanti come trap e hardcore punk, hip-hop e grindcore, a realizzare qualcosa che non risulti “di nicchia” (come spesso capita con contaminazioni così estreme) ma aperto ad una vastissima platea di amanti della Musica. (Davide Brioschi)
BOWLING FOR SOUP > POP DRUNK SNOT BREAD
I Bowling for Soup sono una di quelle realtà con decine di anni alle spalle, che all’epoca arrivarono molto puntuali con le loro sonorità festaiole e quasi mai macchiati di quello smaccato senso della smanceria di cui è bandiera il pop punk. Insomma loro non hanno mai cercato di piacere alle ragazzine come hanno fatto quasi tutti i loro colleghi, però c’è una cosa che lo accomuna a molti altri loro colleghi: il non avere idea di quando fare basta, eh sì perché Pop Drunk Snot Bread è un disco piatto, noioso, fatto di due o tre soluzioni melodiche, dinamiche e compositive usate a profusione (senti “Hello Anxiety”) da cani e porci. Un disco nuovo nuovo che emana un fortissimo fetore di vecchio, fuori dal tempo e dal luogo, magari non dal contesto, ma poco importa perché Pop Drunk Snot Bread è un lavoro dimenticabilissimo, non in quanto anonimo, ma perché è proprio il caso di dimenticarlo. Siamo nel 2022, anche basta, questa roba l’abbiamo già sentita. (Antonio Sechi)
ANTIGAMA > WHITEOUT
È bene chiarire subito una cosa: l’eccesso stanca a volte, è innegabile, ma appunto, a volte. Gli Antigama non sono gente che può stancare, con Whiteout sono arrivati solo all’ottavo full nell’arco di vent’anni e con una discografia altalenante, ma sia chiaro sempre all’altezza. Continuano imperterriti nella loro proposta aggressiva e tagliente, non sono gente che tenta di stupire per la camaleonticità, non serve quando una band ha da parte della sana violenza da mettere in musica e un altrettanto sana passione per i Napalm Death del periodo The Code is Red… Long Live The Code. Ora, andando nel dettaglio, Whiteout è in realtà un disco come tanti degli Antigama, ma per qualche motivo dotato di una certa freschezza che si percepisce nella scrittura che non contempla la complessità come si sentiva per esempio in Depressant o Meteor. Whiteout mette insieme undici pezzi molto diretti che sì, non sono mai scontati, ma non si perdono in dettagli troppo rapidi per essere individuati, anche i riff di chitarra sono molto più minimali, “Undeterminate” e “Disasters” ne sono portabandiera di questa semplicità. E sì sarebbe facile dire: “vabbeh, un disco grind”, vero sì, ma quando si tratta degli Antigama c’è sempre un motivo per dedicare un ascolto a questi polacchi impazziti. Whiteout è un ottimo disco, freddo e violento, ma non volgare. (Antonio Sechi)
WITNESSES > THE HOLY WATER
Greg Schwan continua con il suo progetto Witnesses ad illuminare con flebili candele paesaggi notturni nei quali per mezzo di fioche luci sono distinguibili solo forme vaghe e indefinite. Ci aveva dato un assaggio della sua poetica con IV, ma questo The Holy Water EP riprende le origini doom del progetto bagnandole nella malinconia e negli umori apocalittici ed urbani del precedente lavoro. Un doom fortemente atmosferico, cadenzato, pulviscolare, sul quale danza l’eterea voce di Gabbi Coenen, una cantante in grado di ricreare atmosfere non dissimili a quanto trovato nei Vouna o in certi momenti più rallentati dei migliori Wolves in the Throne Room, applicati al gothic doom nel suo periodo dorato. E’ sempre bello avere a che fare con Witnesses, ogni lavoro è un viaggio a sé, una nuova esperienza sempre degna di essere vissuta. (Federico Botti)
SCREECHING WEASEL > THE AWFUL DISCLOSURES OF SCREECHING WEASEL
Esattamente come per i Bowling For Soup, anche qui ci si trova con una band che ha fatto scuola, una band che è stata fondamentale persino per l’evoluzione che ha avuto il punk in Italia, quasi tutto il punk italiano dei primi 2000 è di derivazione Screeching Weasel. Ma non perdiamoci; The Awful Disclosures è il ventesimo disco della band e, va detto che nonostante la band stia sostanzialmente riciclando tutto quello che ha fatto già in passato, ascoltando questo disco non pesa. Riesce a non farsi detestare, per un semplice motivo: questi ragazzi, che ragazzi ormai non sono più sanno scrivere e sanno suonare, ma si deve fare i conti con un dettaglio: per quanto questo disco sia tutto sommato gradevole, soffre di una stanchezza da età che fa percepire la musica trascinata, non dinamica. È un peccato perché ci sono pezzi validi, ma li si sente fiacchi, stremati. Quindi non è un brutto disco, non è da buttare, solo per appassionati. (Antonio Sechi)