Giunti al ragguardevole traguardo del quindicesimo album in studio, i Paradise Lost confermano ancora una volta (ammesso vi fosse qualche dubbio) la propria caratura di leader della scena metal mondiale, a dispetto dei quasi trent’anni di attività. Forti di una discografia molto varia, ma solidamente ancorata alle coordinate gothic, doom e death che da sempre costituiscono i loro punti di riferimento, gli inglesi possono permettersi di giostrarsi liberamente tra i vari generi: e ancora una volta lo fanno con pieno successo in questo che è il primo disco sotto Nuclear Blast, dopo la conclusione del lungo sodalizio con la Century Media.
Dopo lo splendido The Plague Within, il disco più death del loro catalogo, con Medusa i Paradise Lost tornano consapevolmente alle proprie radici doom, quelle che rimandano al seminale Gothic e quindi ai capolavori Icon e Draconian Times: ma in perfetta continuità con l’opera precedente, dunque con una propensione alla ferinità molto marcata (d’altronde, per ammissione della stessa band, questo disco nasce sulla scia di “Return to the Sun”, canzone che chiudeva The Plague Within). “Fearless Sky” apre con gravità pachidermica il disco, facendoci subito intendere dove il quintetto vuole condurci: nella più livida desolazione, con l’aedo Nick Holmes a far da Caronte. Il frontman si affida si affida in grande prevalenza ad un cupo growl, perfettamente in linea con le luttuose linee melodiche tracciate dal sempre ispirato Greg Mackintosh; ma non manca di variare il proprio registro vocale con passaggi più melodici come sempre assai suggestivi (“The Longest Winter”). La title-track condensa tutti gli elementi principali, inclusa l’alternanza growl/pulito in cui Holmes è maestro; “Blood and Chaos” è invece l’episodio più movimentato, che si distingue dal resto della scaletta per un bpm un po’ più sostenuto. Infine “Until the Grave” chiude, come una lapide, il disco ed ogni speranza, raggiungendo picchi emozionali notevoli. Assai consigliata però la versione speciale del disco, con le due ottime bonus track “Shrines” e “Symbolic Virtue”, più vicine ai Paradise Lost anni Duemila.
Medusa risulta alla fine essere un disco monolitico, ma comunque non statico: la qualità della scrittura è sempre molto alta, seppur meno varia che in altri episodi della discografia, e rispetta senz’altro la forma canzone avvalendosi del sapiente inserimento di melodie, come nella migliore tradizione della band. I Paradise Lost invecchiano bene, e continuano a non sbagliare un colpo.
(Nuclear Blast, 2017)
1. Fearless Sky
2. Gods of Ancient
3. From the Gallows
4. The Longrest Winter
5. Medusa
6. No Passage for the Dead
7. Until the Grave
8. Shrines
9. Symbolic Virtue