Il 2015 è stato anche l’anno del ritorno dei Paradise Lost. “Ritorno” è sicuramente la parola chiave per descrivere The Plague Within, quattordicesimo album della storica band britannica e traguardo ultimo del percorso di ritorno alle origini, appunto, iniziato col disco omonimo del 2005. Da allora son passati dieci anni e i santoni del gothic metal hanno pure fatto uscire tre dischi di ottima fattura, ma incuranti del tempo che passa i Paradise Lost hanno deciso di offrire ai propri fans uno dei migliori lavori di tutta la loro lunga e gloriosa carriera.
Analizzando il precedente Tragic Idol scrivevamo “non aspettatevi ovviamente un ritorno al growl”: beh, bastano pochi secondi della nuova opener “No Hope In Sight” per farci rimangiare quel frettoloso “ovviamente”. Nick Holmes si è recentemente messo in gioco con i Bloodbath e l’esperienza sembra avergli giovato assai: non lo si sentiva urlare così dai tempi di Gothic. Se a ciò aggiungete che nel frattempo anche Greg Mackintosh ha continuato a dilettarsi col death metal insieme ai suoi Vallenfyre capirete come il back to the roots a cui assistiamo oggi sia una conseguenza inevitabile di un processo per nulla artificioso.
Chiariamoci: i Paradise Lost non hanno perso il loro gusto per le melodie memorabili e i ritornelli naturalmente catchy. Tuttavia, se gli ultimi dischi erano composti da pezzi sì molto ispirati ma tutti grossomodo basati su di uno schema ormai standard, in The Plague Within anche i maggiori conoscitori della band avranno di che sorprendersi. Il riferimento è a pezzi come “Flesh From Bone”, che pare quasi essere un nobile scarto dei Vallenfyre, o la struggente “Beneath Broken Earth”, un monolite doom/death che di fatto non ha precedenti nella discografia dei Paradise Lost: in un’annata tanto fertile per tali sonorità Mackintosh, Holmes e soci dimostrano di essere dei fuoriclasse ancora capaci di mandare a scuola tanti colleghi più giovani.
È proprio questa eterogeneità, scaturita peraltro dalle menti di artisti che non avrebbero più nulla da dimostrare al mondo, a rendere grande The Plague Within. Il “ritorno alle origini” è un’operazione rischiosa, che ha fatto rimediare brutte figure a tante band più o meno blasonate. L’intelligenza dei Paradise Lost, ma soprattutto la loro grandezza, sta in un dettaglio molto semplice: nel rivisitare il proprio passato hanno composto un disco fresco, che certamente vive di analogie ma che in realtà non è paragonabile a nessun altro episodio della loro discografia. Dopo tutti questi anni di attività è un traguardo al quale pochi possono ambire.
(Century Media Records, 2015)
1. No Hope In Sight
2. Terminal
3. An Eternity Of Lies
4. Punishment Through Time
5. Beneath Broken Earth
6. Sacrifice The Flame
7. Victim Of The Past
8. Flesh From Bone
9. Cry Out
10. Return To The Sun