La prolifica band texana Portrayal of Guilt torna a far parlare di sé con la loro ultima fatica, Devil Music. Attivi dal 2017 e con una notevole mole di singoli, EP e split alle spalle, arrivano a presentare al mondo intero il loro quarto album, suscitando un sincero interesse in tutti coloro che apprezzano la musica estrema.
Devil Music si apre con veemenza, gettandoci improvvisamente in un inquietante labirinto dove è vitale addentrarsi prudentemente, pensando, con ingenuità, di riuscire ad evadere da questo facilmente; niente di più sbagliato. Veniamo assaliti da dei potenti e scanditi riff chitarristici alternati ad altri tremolati, aiutati da una batteria dinamica e pungente, dettando quando il groove, quando la nuda e cruda bestialità. Questa è la dualità sulla quale i Portrayal of Guilt compongono la loro musica, prendendo a piene mani sia dal post-hardcore, sia dal metal estremo, in particolare dal black metal per le parti più spedite e violente. Non troviamo alcuna remora nella loro visione compositiva, ma solo onestà, non curandosi dei pregiudizi e dei vari elitismi che purtroppo possono ancora esistere nella scena metal. L’album scorre velocemente, tra le urla infernali e un caos generale che crea agitazione in chi lo ascolta, centrando l’obiettivo di creare della vera e propria musica demoniaca. La conclusione di “Burning Hand” ci delizia con un’inaspettata voce pulita, prima di finire dentro l’occhio del ciclone nel successivo brano, dove veniamo trafitti da chitarre lancinanti e da una potente batteria hardcore punk. Una certa importanza viene data ai riff di chitarra, riuscendo a convincere quasi sempre l’ascoltatore, nonostante un utilizzo del basso limitato a sostenere l’intero sound del gruppo. La quinta traccia, oltre ad essere quella che dà il nome all’album, gioca su rallentare sé stessa all’inverosimile, per poi andare a sfumare in un fade-out, ricordando non poco il riff portante di “Satan Is a Lawyer” dei Gojira: che sia una coincidenza voluta dal signor Bafometto in persona? Chissà, ma questo non ci è dato saperlo!
Un attimo… cos’è successo? Disorientati, ci troviamo nuovamente daccapo, anche se questa volta il labirinto sembra aver mutato in parte la sua forma. Sono gli archi e i fiati adesso a risuonare forti negli oscuri antri, mentre la terrificante voce continua ad insinuarsi nella nostra mente, tormentandoci senza lasciarci alcuna tregua. Destreggiandoci in un percorso già battuto da noi stessi in precedenza, riusciamo finalmente a sentire con più chiarezza il linguaggio dei Portrayal of Guilt, per quanto possa essere chiaro un qualcosa immerso nell’oscurità.
Devil Music è sicuramente un ottimo disco, anche se devo confessare che la sensazione di trovarsi davanti a due lavori distinti, seppur complementari, si fa un poco sentire: avrei preferito senza alcun dubbio una scaletta dove tutti i brani, orchestrali e non, fossero mescolati, andando a rendere l’ascolto dell’intero lotto più omogeneo. Pur rendendomi conto che nel caso specifico di questo album non sarebbe stato possibile, in quanto la divisione simmetrica di questo sia dettata dalla riproposizione dei brani nella versione orchestrale, faccio fatica a non pensare al fatto che questo sia un modo, per quanto funzionale, un poco semplicistico per riempire un album di trenta minuti. Al netto di ciò, con tutta probabilità, ci troviamo davanti all’apice compositivo del trio texano, quantomeno al momento di questa recensione, aggiudicandosi sicuramente una buona posizione in classifica tra tutti i dischi estremi usciti quest’anno. L’invito ad ascoltarlo a chiunque bazzichi nei territori più estremi della musica è dunque sprecato, ma per chi avesse problemi a digerire tale caos sonoro, c’è sempre la seconda parte di questo malefico album.
(Run For Cover Records, 2023)
1. One Last Taste of Heaven
2. Untitled
3. Burning Hand
4. Where Angels Come to Die
5. Devil Music
6. I (One Last Taste of Heaven)
7. II (Untitled)
8. III (Burning Hand)
9. IV (Where Angels Come to Die)
10. V (Devil Music)