Arrivati al traguardo del terzo album, i berlinesi Praise The Plague pare abbiano trovato la loro dimensione. Anche se, piccolo spoiler, questo disco, pur suonando coeso, ben strutturato, dotato di un’anima propria (nonostante i rimandi ai grossi nomi della scena black e post-hardcore), non va oltre la sufficienza. I Nostri confezionano un lavoro formalmente giusto, avendo studiato la materia per anni, costruendo il proprio sound in poco tempo e in pochi album, cosa che spesso richiede molto più tempo e molti più tentativi. Il vero problema, a mio modo di vedere, è che Suffocating In The Current Of Time va a collocarsi in un ambito che definire affollato è poco; quindi, o tiri fuori un lotto di canzoni epocali – e non è questo il caso – o galleggi nella mediocrità – onestamente sarei troppo duro, e disonesto, a dire che i tedeschi vadano inseriti in questo insieme – oppure, ultima fermata, hai scritto un disco che può rappresentare un buon punto di partenza e quindi sì, direi che ci siamo. Fatta questa doverosa premessa, andiamo a snocciolare pezzo per pezzo il terzo parto in studio dei teutonici Praise The Plague.
L’album si apre con “Veil of Tyrants”, un brano che gioca su poderosi midtempo, mischiando black metal, hardcore e post-metal. Le chitarre, grasse e oleose, giocano come il gatto col topo, creando vuoti dove la sezione ritmica va ad addensarsi, traccheggiando, una petroliera in panne pronta a schiantarsi sulla terraferma. Canzone che pare fungere da biglietto da visita per il prosieguo del disco. La successiva “The Tide” pesca a piene mani dal bacino death/doom, con quel growl infernale vomitato da Robert Carmosin a declamare la fine di tutto. Tutto è rallentato, oscuro, soffocante, un brano molto atmosferico ma poi ecco la svolta, la marea – dal titolo – che si abbatte sull’ascoltatore, con quella sfuriata black metal che non lascia scampo. Col terzo brano, “Astray From Light”, i cinque caricano di vitamine il loro post-hardcore, passando dal ghiaccio norvegese, arrivando infine al violentissimo deathcore di scuola svedese. La batteria di Sascha Bühl detta ritmi insostenibili e i due chitarristi, Marcel Martin e Christoph Macht, alternano rallentamenti al limite dell’embolia a ripartenze al fulmicotone. Una prima parte dell’album che convince appieno, ma i dolori sono dietro l’angolo, perché “A Serpent’s Tongue” (un brano di facile assimilazione, sicuramente di facile scrittura, col suo black and roll che addirittura lambisce una sinfonia mainstream e no, una seconda parte più tirata non ne rialza le sorti) ma soprattutto “Devourer” (un mischione inconcludente di death metal, post-hardcore, black metal poco dinamico, che si dilata eccessivamente in giri inutili e che fa strizzare l’occhio al tasto skip) vanno ad intossicare il disco, facendo sprofondare il songwriting dei Praise The Plague in fondo ad un pozzo. Vuoto. Perché le disgrazie non capitano mai da sole. Le sorti vengono risollevate con la conclusiva “Throne of Decay”, una sorta di suite, 100% black metal, con una bella prima parte lenta e atmosferica, per poi deragliare più volte alzando il tiro.
In definitiva, al terzo giro di giostra, i Praise The Plague dimostrano una certa dimestichezza con il mix di generi che vanno a comporre la loro proposta. Pur rimanendo derivativi – ma non biechi scopiazzatori seriali – e suonando un genere inflazionatissimo, direi che Suffocating In The Current Of Time può rappresentare un buon punto di svolta/partenza.
(Lifeforce Records, 2024)
1. Veil of Tyrants
2. The Tide
3. Astray From Light
4. A Serpent’s Tongue
5. Devourer
6. Throne of Decay