(Moment of Collapse / Shove Records, 2014)
1. The Last Migration
2. Mountain of The Divine
3. By The Lights
4. Heavy Gravity
5. The Lone Tower
6. March of The Locust
Il post metal ha regalato parecchie soddisfazioni ma anche parecchie delusioni negli ultimi anni. Tra band che falliscono il tiro inciampando clamorosamente nella propria ombra, new sensations che promettono molto al primo tentativo ed altri che rimangono in precario equilibrio, in Italia fortunatamente la qualità delle proposte non pare avere intenzione di calare e ad aggiungersi alle belle sorprese di quest’anno sono i Rise Above Dead, di sicuro una delle band italiane più rodate del genere (ed anche tra le più famose). Tramutatisi in un quartetto strumentale dopo la dipartita del cantante Andrea Rondanini, i milanesi sono pronti per mostrare al mondo la nuova “incarnazione” di questo progetto ed il risultato non delude le aspettative.
Già dalla copertina si può intendere in parte la direzione scelta dai milanesi per questo terzo disco. La musica di questi quattro ragazzi riesce infatti ad avvolgerci e trasportarci delicatamente in un viaggio continuo nell’esplorazione sonora, sia in ambito post metal sia attraverso soluzioni estranee a questo genere tanto in voga ultimamente. Certi giri richiamano alla mente addirittura i Mastodon più quadrati e lineari, ma sono i Pelican l’influenza che risalta maggiormente nell’economia della composizione. L’equalizzazione di chitarre e basso, la maggior parte delle strutture e buona parte delle dinamiche dei brani rimandano pesantemente ai “maestri” di Chicago, a metà tra quelli di What We All Come To Need (per l’appeal rock) e quelli più prettamente “post” di Forever Becoming. A differenza però di altre band che risulterebbero (e sono risultate) delle copie carbone della matrice di riferimento, i Rise Above Dead riescono invece a caratterizzare la propria proposta con una componente personale, grazie a melodie e sperimentazioni tali da rendere l’ascolto decisamente vario per gli standard del genere. Continuando e ripetendo l’ascolto di Heavy Gravity si potranno notare ed apprezzare tutti i particolari che impreziosiscono questo lavoro: risulta in particolare molto godibile (ed azzeccato) il lavoro di batteria, che risulta dinamico (al contrario di quanto succede nei Pelican, spesso penalizzati da un drumming monotono e alla lunga stancante) e vario, capace com’è di fornirci anche piacevolissime accelerazioni in doppia cassa, come succede nella titletrack. Altrettanto degno di nota il gioco di note dissonanti in “The Lone Tower” e le divagazioni alla Isis di “Mountain Of The Divine”; si apprezza molto inoltre la conclusiva “March Of The Locust”, a cavallo tra inquietudine sonora, noise, sludge e sperimentazione. Sono infine doverosi, ancora una volta, i complimenti a Riccardo “Paso” Pasini e alla sua produzione impeccabile sotto tutti i punti di vista.
Come avrete ben capito stiamo parlando di un lavoro onesto, molto ben suonato e che dimostra la capacità di questi musicisti di reinventarsi e di tentare una strada rischiosa e ultimamente trafficata come può essere quella del post metal strumentale. Se vi piacciono i Pelican ma siete rimasti delusi (come noi del resto) dalla loro recente immobilità sonora e dalla loro palese mancanza d’idee allora volgete l’attenzione verso i Rise Above Dead e non ne sarete delusi. Attendiamo curiosi anche la versione live dei brani stessi.
7.5