A circa un anno e mezzo dal precedente numero torna la rubrica Screamature che, per chi non la conoscesse, va a scavare tra le ultime uscite in ambito screamo, hardcore e generi affini, focalizzandosi su uscite diverse dai “tipici” full-length. Vengono trattati quindi EP, split, compilation e via dicendo, esplorando i nuovi lavori in un panorama particolarmente florido in questo periodo storico e con tante gemme nascoste da far conoscere. Per questo ritorno, lo screamo rimane tendenzialmente in una posizione centrale, pur con delle divagazioni tutte da scoprire tra emoviolence e blackened hardcore. Buona lettura!
Noverte > Life in minor
(12″, troppistruzzi, Dischi Decenti, Shove Records, Desperate Infant, Zilpzalp Records, Larry Records)
Dopo aver scosso la scena nostrana con Con uno sguardo solo, loro debutto datato 2023 e tra le migliori uscite in ambito screamo negli ultimi anni, i Noverte tornano a farsi sentire con un EP intitolato Life in minor. Cosa aspettarci da questi quattro brani? Semplice, ciò a cui i bolognesi ci avevano già abituato due anni fa: di base, uno screamo sincero e tagliente, in cui i riff sono accattivanti e irregolari, i richiami melodici qua e là entrano in testa e il cantato con la sua disperazione espressiva prende il sopravvento. I bolognesi mantengono anche il curioso alternarsi di testi in italiano ad altri in inglese in questo turbinio asfissiante, in cui tutti i brani dicono la loro, senza attimi morti. Su tutti “Alfabeto” è il miglior biglietto da visita per l’EP, con il suo incipit più orecchiabile che precede un crescendo d’intensità che esplode nel finale. Ma a prescindere dalla questione soggettiva sul picco del disco, rimane la sostanza: tra tutte le realtà interessanti che si sono fatte conoscere negli ultimi anni nel panorama italiano, poche hanno avuto un impatto come i Noverte.
And Always > Feel Fine
(Tape, No Funeral Records)
Gli And Always arrivano dal Canada, ma per la sensibilità e certe venature più introspettive che ha il loro sound, l’impressione è che i riferimenti attorno a cui è costruita la loro musica vengano principalmente dalla scuola europea. Su tutti, sono i Suis La Lune che vengono in mente ascoltando Feel Fine, loro secondo EP che è stato pubblicato a sette anni di distanza dal lavoro self-titled del 2017 tramite la connazionale No Funeral Records in digitale e in cassetta. Cinque brani che mettono in luce una maturità compositiva non indifferente, tra una sezione strumentale che sagacemente sa quando colpire dritta alla giugulare e quando invece accogliere scenari dai tocchi nostalgici a cui si uniscono le due voci principali che con il loro alternarsi sono un elemento in più non da poco. L’ascolto fa del suo cavallo di battaglia l’espressività che si cela dietro alle scelte musicali, che si evolve con lo scorrere dei brani trovando il suo apice nella conclusiva “Empty Altars”, picco emotivo dell’ascolto, che con quelle melodie sfuggenti intrecciate con il cantato disperato fa calare il sipario nel migliore dei modi.
Calathea > Flowers & Knives
(12″ – Pasidaryk Pats Records, Engineer Records, Fireflies Fall, Through Love Records, New Knee Records, Arcada Koncerts, No Funeral Records)
La stessa No Funeral Records è tra le etichette che hanno collaborato all’uscita di Flowers & Knives, nuovo lavoro dei baschi Calathea. Quello che domina la scena in questi sette brani è un post-hardcore maestoso, con un songwriting maturo e variegato. L’identità della penisola iberica si fa sentire per i Nostri, ci sono dei richiami ai Viva Belgrado nei settori più nostalgici così come ai Boneflower quando l’intensità la fa da padrona e si preme sull’acceleratore con più decisione. Tra l’altro, è proprio Eric, chitarra e voce nei Boneflower, a comparire come ospite nel secondo brano “Ribcage”, aggiungendo un tocco nostalgico nella sezione in pulito centrale, mentre in “Gure Hilobia” è il turno di Goio dei baschi Vibora di fare una comparsa, e se si chiamano in causa i Vibora, l’impatto non può che essere immenso e viscerale. Davvero ben costruito questo Flowers & Knives che, citando il titolo, sa quando far prevalere la delicatezza dei fiori, e quando invece affondare delle coltellate esiziali. Realtà da tenere sott’occhio e che anche dal vivo potrebbe avere molto potenziale espressivo, dati i presupposti dell’EP.
Plague Cross > Demoralize
(Digitale – Autoproduzione)
Mortifero e colossale, l’EP di debutto dei texani Plague Cross è un assalto sonoro letale. Senza particolari parole di corredo, Demoralize fa parlare solo la musica, mescolando nello stesso calderone la rabbia primordiale del black metal con la sfacciataggine dell’hardcore più violento, e il risultato non può che essere caustico e sferzante. Il songwriting è tutto sommato semplice, i riff diretti e compatti, ma d’altronde a un lavoro del genere non gli si chiede molto di più se non di essere quanto più tritaossa e senza fronzoli possibile, obiettivo che ai Nostri riesce decisamente bene. In una scena texana che pullula di realtà valide, sotto l’ala protettiva di riferimenti quali Portrayal of Guilt e Mammoth Grinder, per dirne un paio, ora c’è una nuova realtà che prova a dire la sua, con questo debutto dritto al punto e roccioso.
Alyvia > Alyvia
(Tape – Emotionless The City Lies)
Rimaniamo negli Stati Uniti, spostandoci più a ovest, ed ecco che dal sud della California si fanno conoscere gli Alyvia, anche loro pubblicando un EP di debutto di cinque pezzi. Nel suo piccolo, con una durata che va di poco oltre la decina di minuti, il lavoro si divide in due metà. I primi tre brani sono più diretti, e sfruttano delle strutture ridotte all’osso per colpire immediatamente con uno stile grezzo e tagliente, che si rifà allo screamo nelle sue accezioni rabbiose. Questo incipit è l’ideale per un giro di boa che va a cambiare le carte in tavola in maniera abbastanza decisa: “As The Glass Shatters” si prende i suoi tempi, mentre l’intensità tumultuosa raccolta fino a ora viene resa ancor più travolgente da questo crescendo letale, a cui viene data continuità dall’irregolare “Grasp”, posta in conclusione. Come si deduce anche dalla descrizione su Bandcamp, i Nostri devono molto ad altre formazioni connazionali, da cui hanno preso a piene mani per plasmare questo EP che comunque, con la sua schiettezza, ha spunti molto intriganti e lascia ottime speranze per il futuro.
Poetry of Torch / Gil Cerrone > Split
(CD – Zegema Beach Records)
Si conclude con uno split questo trentesimo numero di Screamature, ed è quello uscito un mesetto fa che coinvolge i giapponesi Poetry of Torch e gli australiani Gil Cerrone. Due brani a testa, ed è prima il turno della band da Osaka, che si fa risentire dopo tre anni di silenzio dall’ultimo EP monuments continuando senza particolari esitazioni sulla stessa strada percorsa da quel lavoro. Un emoviolence da ascoltare tutto d’un fiato, con un vortice di riff che destabilizza, cambia continuamente le carte in tavola e massimizza così facendo l’impatto delle composizioni. Dopo questo primo approccio asfissiante, non sono certamente i colleghi da Melbourne a voler staccare il piede dall’acceleratore. Con loro lo screamo, prima relegato in secondo piano, assume maggior rilievo, con uno stile che si distingue per un impatto grezzo e un certo muro del suono che incombe anche negli unici attimi che danno un minimo di respiro al lavoro (vedasi il secondo brano, “Chuck Steak”), per quanto respiro si possa trovare in questo assalto sonoro.