Trentunesimo numero di Screamature in cui trovano spazio sia realtà già parecchio consolidate nel panorama screamo e hardcore, che altre emergenti ma abili nel suscitare molto interesse. Si parte col botto col magnifico nuovo EP degli Shizune e la sregolatezza degli Ostraca, prima di dare spazio allo split che vede coinvolti Burial Etiquette e Letterbombs, tra luci e ombre. Anche nella seconda metà qualche parola viene dedicata a una realtà nostrana: questa volta i giovani Chevalier, prima di volare negli Stati Uniti per l’intrigante EP firmato Clay Birds e l’imponenza affatto scontata degli andthecanaryfell. Buona lettura!
Articolo a cura di Marina Borodi (Shizune, Ostraca, Letterbombs/Burial Etiquette) e Jacopo Silvestri (Chevalier, Clay Birds, andthecanaryfell.).
Shizune > Breviario d’oblio
(12”, Autoprodotto)
Dopo cinque anni dall’ultimo disco, a luglio gli Shizune hanno pubblicato il loro nuovo EP, Breviario d’oblio. Come dichiarano, esso “è un disco sull’amore, sulle ferite che il suo abuso porta alle donne e l’importanza di chiedere aiuto” – un tema che, purtroppo, è sempre stato attuale e lo è oggi più che mai. Il loro è un gesto politico, e cosa si può dire sugli Shizune, se non che si confermano una delle band più longeve del panorama screamo con ancora qualcosa di interessante da comunicare? Dal punto di vista musicale, il loro screamo è impeccabile. Le sezioni ritmiche e melodiche sono armoniose e calibrate perfettamente. Un album che si ascolta tutto d’un fiato, senza interruzioni tra un pezzo e l’altro. Forse l’album italiano con i riff screamo più belli che sentirete quest’anno! Inoltre, i testi sono pura poesia; difficile non identificarsi in essi e urlarli a squarciagola mentre li si ascolta. Un album semplice, pulito, senza fronzoli e che colpisce come un pugno dritto nella pancia, da togliere il fiato.
Ostraca > Eventualities
(12” / Tape, Persistent Vision)
Sono passati due anni dall’ultimo album degli Ostraca (Disaster) e la loro assenza si è fatta sentire. Nel panorama screamo mondiale sono tra le band che più hanno saputo reinterpretare l’essenza del genere, bilanciando sonorità post-metal e emoviolence: ai paesaggi sonori delle prime, catartici e melodici, si contrappongono le indecifrabili urla e graffianti rumori delle seconde. Eventualities si presenta così come densamente stratificato, ben bilanciato nei suoi chiari-scuri e contrasti sonori. I momenti di tensione e di rilascio, a loro volta, creano un’atmosfera unica che, come nel caso di “Esau”, sfiorano i confini del blackgaze. L’uso distintivo del pianoforte consolida ulteriormente l’EP verso nuovi orizzonti musicali, che ampliano e si stratificano a quelli del precedente lavoro. L’evoluzione degli Ostraca, costante e coerente, stuzzica la curiosità e la volontà di scoprire quale sarà il loro nuovo colpo in canna.
Burial Etiquette / Letterbombs > Burial Letter
(12”, Oliver Glenn Records, No Funeral Records, Zilpzalp Records, Hunk of Plastic)
Su sonorità molto diverse si posiziona invece lo split dei canadesi Burial Etiquette e dei finlandesi Letterbombs, in lavorazione già dal 2020/21 e pubblicato solo a giugno di quest’anno. Il motivo del ritardo consiste in accuse di abuso che sono state mosse ad uno dei membri dei Burial Etiquette e alle turbolenze interne al gruppo che hanno portato anche ad un cambio della formazione. Le tre tracce dei primi hanno un’ossatura midwest emo, con l’uso di chitarre arpeggiate, strutture ritmiche e melodiche complesse e screamo appena accennato. In particolare l’ultima, “Vigil”, introduce degli elementi simil-ambient, che creano molta distanza sonora con le tre tracce dei secondi, che hanno invece un’ossatura post-hardcore ed emoviolence. In questo caso, le sonorità sono veloci, estreme ed aggressive, con molte fratture sonore (dai cambi repentini e riff brevi, fino al blast beat della batteria). Non lo split più memorabile di questo 2025. Quello dei Letterbombs con i Claire Voyancé è nettamente più interessante.
Chevalier > Un dolore a cui non so dare nome
(Digitale, Autoprodotto)
Dopo aver parlato in apertura di un riferimento storico della scena screamo nostrana, spostiamo l’attenzione su una giovane realtà che già si è fatta conoscere in sede live. Proprio dal vivo li ho scoperti, a sorpresa, quando sono stati tra le prime band a incendiare il palco della scorsa edizione del Venezia Hardcore. L’impatto è stato notevole e inaspettato, e da lì è salita parecchio la curiosità nell’attesa del loro primo lavoro in studio, questo Un dolore a cui non so dare nome, un EP tagliente e letale. Quella che viene sprigionata è una furia incontrollata, un urlo che ha un bisogno viscerale di uscire dalle corde vocali trovando modo di farsi sentire, contorto e sincero. Prende così forma un emoviolence dall’impatto immenso, introspettivo quando serve, ma sempre e comunque devastante. Il cantato è struggente, le chitarre fanno seguire sempre con grande attenzione le imponenti trame che dipingono, e l’evolversi dei brani è sempre più monolitico. I Chevalier sono una realtà da tenere assolutamente d’occhio, c’è poco altro da dire.
Clay Birds > A Separation From Vanity
(Tape, Zegema Beach Records)
Ci spostiamo negli States, più di preciso in California, per A Separation From Vanity, ultima fatica in studio dei Clay Birds, che tra lo split coi Knumears del 2023 e il full length Bled Out and Painted Blue del 2024 hanno già ben figurato. In linea con quanto già fatto sentire in passato, i Nostri modellano un connubio tra midwest emo e screamo grezzo e sincero, che sa quando essere più ponderato, quando far prevalere la natura melanconica e infine quando risultare abrasivo. Sali-scendi continuo d’intensità che è l’anima di questa musica, e laddove l’aggressività fa sempre il suo, l’EP ci mostra una versione della band californiana ancor più accorta ai momenti delicati. Aiutano anche le linee vocali che cercano più frequentemente di intercambiarsi il ruolo di protagonisti, a braccetto con le parti strumentali, e ogni scelta stilistica con la sua identità. Nel permettere una ricerca in questa direzione, ne derivano dei pezzi con strutture più ampie, per la durata sì, ma anche per certi crescendo più ponderati che fanno capolino in vari momenti. A Separation From Vanity incuriosisce e mostra una sensibilità compositiva che chissà come potrebbe evolversi in futuro.
andthecanaryfell. > As the Ice Melts
(Tape, Tomb Tree Tapes)
Il binomio tra aggressività e delicatezza è ancor più presente e in primo piano, pur cambiando completamente forma, se si parla del sound degli statunitensi andthecanaryfell., che con As the Ice Melts pubblicano il loro secondo EP. Cinque brani, quelli contenuti nel lavoro, in cui regna la stravaganza e l’irregolarità, dove l’incipit è dato da dei riff mastodontici in simbiosi con arpeggi asfissianti, ma c’è anche altro. I ragazzi da Minneapolis partono dall’hardcore più abrasivo e mastodontico, di cui già “273.15K” è un ottimo esempio, ma a dare ancor più possenza all’EP ci pensano i contrasti che salgono in primo piano successivamente. Sono infatti diverse le sezioni in cui le carte in tavola cambiano, l’apocalisse sonora si interrompe bruscamente lasciando l’ascoltatore in un’affascinante limbo, dov’è una certa fragilità a regnare, valore aggiunto di un lavoro che non vuole chiudersi all’aggressività fine a sé stessa. Sono a maggior ragione la collaborazione con l’angelica Arianna Wegley (Spaceport) in “When the Heavens Sing, Sorrow Brings Rain” e “Alluvium”, con la sua contorta seconda metà, a far prevalere questo aspetto, prima dell’atmosfera plumbea che prende sempre più il sopravvento nella title-track. Imprevedibile, e con un fascino scabroso, As the Ice Melts nasconde molte trame intriganti che possono fare al caso di un gran numero di ascoltatori di tutte le sonorità legate all’hardcore.