Tra le mani mi trovo la ristampa, in chiave totalmente strumentale, di un album uscito nel 2020. Un disco, quello classico, con la voce, che vede la sua genesi durante il lockdown, scritto da persone isolate, che comunicavano le proprie sofferenze tramite file su Dropbox, una clausura che ha contribuito alla nascita di tantissime opere d’arte, figlie maledette di un momento che, davvero, si spera di non riassaporare mai più.
La band russa aveva le idee ben chiare sulla propria musica. Un disco emozionante, a tratti rabbioso, portatore sano di un’urgenza artistica, un megafono infinito pronto a eruttare tutte le sfumature dell’animo umano. Il black primordiale, che spesso diventa un’arma di precisione nel recidere le connessioni con il mondo circostante. Il post-black metal, che si mette a nuovo, dalle grotte alle cattedre, un’evoluzione del linguaggio, l’Arte che incontra il Divino. Lo shoegaze, che abbraccia tutte e due le correnti musicali di cui sopra, in una stretta seducente, che sa di casa, che sa di buono, che sa di proibito e lecito, di incenso e zolfo, ma anche di vino e latte materno. Un brano come “Marsh” dovrebbe essere la colonna sonora della vita di ognuno di noi, dotato com’è di mille e più momenti, una paletta colori senza soluzione di continuità, una finestra sui giorni che scorrono. Le influenze di una band gigantesca – Deafheaven – non devono mettere in secondo piano la bontà dei Show Me a Dinosaur, perchè Plantgazer, sia nella versione classica, sia in quella strumentale, riesce ad emozionare sempre e comunque, ed il bello è che le emozioni sono sempre diverse. Ascoltare questo disco nelle prime ore del mattino, sorseggiando un buon caffè, guardando il panorama – per chi ha la fortuna di averne uno a disposizione – è la medicina migliore per rimettere in bolla tutto quanto.
La band che nelle quattro mura di casa osserva la nascita, la crescita, alle volte anche la morte, delle piante, un tema che può apparire banale (ma la vita non lo è mai) che fornisce gli stimoli per porsi domande, anche spigolose e difficili da mandar giù, sul nuovo mondo che da lì a poco avrebbe sostituito il precedente. Come dice la band nel comunicato stampa: “un album nato dalla speranza di sfondare un’ansia crescente“. Credo che nessun’altra parola possa spiegare meglio la bellezza di questo disco. A voi ora il piacere dell’introspezione.
(AOP Records, 2024)
1. Sunflower
2. Marsh
3. Red River
4. Selva
5. Unsaid I
6. Hum
7. Unsaid II