La storia degli Skunk Anansie è semplice. Primo periodo, tre dischi enormi, sia per coraggio che per idee ma soprattutto per la qualità di un songwriting che, va detto, non ha mai più raggiunto quei livelli. Secondo periodo, altri tre dischi dopo la reunion, una calligrafia musicale un po’ fiacca, sfilacciata, tenuta in piedi dalla solita gigantesca Skin e dalla sua voce celestiale, mentre tutto attorno un grottesco amplesso rock/elettronica andava a consumarsi malamente. Eppure a molti sono piaciuti quei dischi e quindi, dati alla mano, la band ha avuto ragione su tutta la linea. Ora, dopo nove lunghissimi anni e mille casini da smaltire (diventare genitori, affrontare malattie, gestire perdite contrattuali di lungo corso) tornano con questo The Painful Truth. E quale sarà mai questa dolorosa verità di una formazione che è rimasta immutata in tutti questi anni? Perché sì, ovviamente assieme a Skin ritroviamo tutti gli altri: Ace (chitarra, cori), Cass Lewis (basso) e Mark Richardson (batteria). Difficile dirlo per l’ascoltatore, che è anche recensore, che è soprattutto amante dei loro dischi, di quel primo periodo, quel trittico, che rimarrà scolpito nella Storia.
Il nuovo album è logicamente in linea con il corso intrapreso dopo la reunion del 2009, quindi un rock alternativo sempre screziato di blues, funk, hip hop, reggae. Anzi, in alcuni passaggi è ancora più in là, annacquato da un facile airplay che dischiuderà ai Nostri i forzieri dei big money a suon di streaming, like, visualizzazioni, ecc ecc. The Painful Truth non è un brutto disco, questo va chiarito subito, Così come va detto che è un bel miscuglio di roba che alle volte fa girare un pò le palle, perché alla fine dell’ascolto c’è da rimuovere i resti di Skin, cadavere lasciato alle mercé di corvi, e fate scempio delle sue carni. Perché se togli la canna rock ai brani, se lasci che l’elettronica la faccia da padrona, l’ugola atomica di Skin diventa uno sparring partner da massacrare senza ritegno. Ma anche quando i brani sono in groppa a dei cavalli da corsa, come l’opener “An Artist Is An Artist” (che oddio, puzza da morire di Lambrini Girls), gli inserti elettronici sono messi ad minchiam, sembra che abbiano scoperto il Telosminchio Beghelli e ci vogliano giocare ogni due secondi. “Cheers” porta dalla sua una batteria effettata e una linea vocale pop, talmente pop che alle soglie dell’estate potrebbe diventare un tormentone (roba che se ci fosse ancora il Festivalbar sarebbero lì a far finta di cantarsela col playback). Il premio del brano più irritante va però a “Shoulda Been You”, che mischia il levare dei Police con gli effetti da fantascienza anni Sessanta/Settanta per poi esplodere in un coro tra il rock, d’accatto ovviamente, e il pop (n)Eurovision; il bello, se così si può dire, è che dal vivo questo brano sarà letteralmente devastante. Speriamo solo che cadano e si spacchino centinaia di fottuti smartphone. Il resto del disco è un bivacco, anche piacevole, di brani più soffici, dove l’elettronica diventa un’alleata – finalmente! – per Skin che, seppur lontana dalla sua comfort zone, può spargere il suo innato timbro funk, qui modulato su nuances delicate e soffuse. Brani come “Lost And Found”, “Shame”, “Animal” e “Meltdown” sono certamente tra le migliori cose scritte dai Nostri. Il tutto, chiaro eh, va rapportato con il discorso fatto in apertura.
La band dei primi tre dischi era qualcosa di diverso, unico e irripetibile. Ma è fisiologico che i fluidi corporali e artistici confluiscano in tutti i loro lavori, arrivando fino a questo The Painful Truth che ci riconsegna una band in forma nonostante l’età, il tempo che passa e logora, la vena un po’ asciutta. Capita a tutti, ma solo i grandi sanno portarla a casa. Come fanno gli Skunk Anansie nell’anno di grazia 2025.
(FLG Records, 2025)
1. An Artist Is An Artist
2. This Is Not Your Life
3. Shame
4. Lost and Found
5. Cheers
6. Shoulda Been You
7. Animal
8. Fell In Love With A Girl
9. My Greatest Moment
10. Meltdown