Ci ho messo un bel po’ di tempo per scrivere questa recensione. Il motivo è molto semplice: non riconoscendomi come un fanboy, e non solo per quanto riguarda la band inglese in questione bensì per un mio approccio alla musica tutta, ma parlando sempre di uno dei miei gruppi preferiti, il rischio di farmi influenzare sull’onda di aspettative altissime, di “capolavoro” gridato ai quattro venti dopo aver ascoltato due note due, ecco, questo rischio dicevo, era proprio da evitare. Per farlo, l’unica cosa era lasciarlo andare, farlo fluire, dar sfogo a mille e più recensioni, critiche ed elogi, amore e odio, parole giuste, parole ingiuste. Per poi poterlo riabbracciare, per poi poter riascoltarlo con la giusta attenzione. Parto subito da una riflessione: gli Sleep Token sono indiscutibilmente un qualcosa che ha scompaginato in abbondanza la scena musicale mondiale. Ora, non penso che il successo si possa misurare solo dai sold out ottenuti in pochissimi secondi, o da tour con migliaia di persone entusiaste, o con classifiche che vedono la band sempre nelle prime posizioni; però bisogna necessariamente tenerne conto. Un’altra cosa che va rimarcata: chi ascolta da sempre il nostro amato heavy metal sa bene che è un genere che al suo interno ospita decine e decine di derivazioni. Ma soprattutto, ahimè, ha anche metastasi chiamate merdallari che in nome di “quello che è veramente metal” si perde in battaglie verbali senza senso, in netta contraddizione su tutto il resto, ossia una grande isola felice dove i suddetti sottogeneri possono coesistere, fondersi, diventare altro, aprirsi persino ad altre sonorità, a mondi diversi e distanti. Gli Sleep Token in questi mesi hanno ricevuto eccessive critiche, per non dire “badilate di merda”, in virtù della loro proposta artistica che sicuramente ha al suo interno il nostro amato metal, declinato in mille maniere, e contemporaneamente tantissimi altri stili musicali.
Fatta questa doverosa premessa, come suona Even In Arcadia? Ai primi ascolti, l’impatto è stato dei migliori. Mi sono lasciato conquistare subito, se avevo messo distanze – propedeutiche per analizzare al meglio l’album – ecco che queste sono state colmate in pochissime sessioni d’ascolto. Un sbornia rapida, euforica, effervescente. Ma, come detto nel mio incipit, era giusto prendersi un attimo. Ho quindi staccato per qualche giorno, tornando anche a riascoltarmi i precedenti lavori. E la verità, non dolce e non amara, si è dischiusa leggera davanti a me. Il nuovo disco è sicuramente meno metal-oriented rispetto alle precedenti uscite. Il nuovo disco è sicuramente più mesciato con altri generi musicali. Il nuovo disco, quindi, formalmente non aggiunge nulla di nuovo; artisticamente la band si è spostata di poco. Ma, l’oggettività ricordate, il nuovo disco è perfetto così com’è. Un lavoro concepito, scritto ed eseguito al massimo delle furia artistica che (s)muove Vessel, il quale fa della maniacale ricerca della perfezione la sua Missione, il suo Verbo. Un album che al suo interno mostra infinite soluzioni, si muove all’interno di mille mondi, così distanti, così diversi, così contrastanti, e lo fa in una maniera che suona semplice nonostante una complessità che ha davvero poco a che spartire con la natura umana. Even In Arcadia è il giusto proseguimento in un percorso artistico che sa di celestiale, di alieni, di roba che ancora non ci è dato comprendere. Prosegue, questa volta usando passi più brevi, rimanendo in zona, non allontanandosi troppo dal campo base, perlustrando ugualmente territori ancora vergini. La cura certosina di Vessel si ripercuote su tutti gli aspetti: dal songwriting che sa di musica artigianale, con quel cesello a incidere ogni arrangiamento, alla produzione che è moderna, con suoni potenti e vibranti, ma mai finti, plasticosi o esageratamente sboroni. Quello che colpisce di più è l’andare in sottrazione: difatti la band, nonostante tutto quello scritto da me fino ad ora, ha scelto di non eccedere. Ogni scelta si manifesta funzionale all’economia del brano, non c’è mai la voglia di esagerare; potrebbero farlo, hanno tutto per farlo. Invece, un respiro profondo, il piatto è ugualmente ricco anche con qualche ingrediente in meno. La masticazione, tramite i padiglioni auricolari, l’assimilazione, tramite il cervello e il cuore, ringraziano. Even In Arcadia è dunque un bel disco. Non il capolavoro che di primo acchito avrei eletto in tal senso. Non ha la potenza deflagrante del precedente Take Me Back To Eden. Posso arrivare a capire la delusione di alcuni. Posso comprendere la miopia di altri. Ma la musica, anzi la grande musica, necessita di uno step, una sfida se vogliamo. Altrimenti si rischia di smarrire per strada un bastimento di sensazioni ed emozioni che, credetemi, non è da tutti (tra)portare in un album.
Non cito nessun brano, la cosa migliore è lasciarsi andare, entrare nel dedalo musicale e, perché no, perdersi. Perdersi tra metal classico, progressive rock, ambient, post-metal, contemporary R&B, nu metal, jazz, psichedelia, pop, rap, persino reggaeton, musica da camera, black metal. Alle volte è così dolce rimanere travolti da qualcosa di più grande di noi. Non è morire, è semplicemente un vivere duepuntozero.
(RCA Records, 2025)
1. Look To Windward
2. Emergence
3. Past Self
4. Dangerous
5. Caramel
6. Even In Arcadia
7. Provider
8. Damocles
9. Gethsemane
10. Infinite Baths