Dopo una progressiva crescita che ha destato un discreto interesse nei loro confronti, tra cui quello della 20 Buck Spin – la cui qualità delle uscite si sta rivelando sempre più pregevole – il terzo disco giunge nella carriera dei Solothus con molte aspettative su di esso. Sempre fedeli a un death/doom metal spietato, dopo l’interessante debutto hanno mancato l’occasione per compiere il salto di qualità con l’ultimo No Kings Reign Eternal, e a quattro anni di distanza si spera che sia arrivato il momento di accogliere la formazione in una cerchia di gruppi più ristretta e più rispettosa. Realm of Ash and Blood, quindi, potrebbe avere una notevole rilevanza per la carriera del quintetto.
L’impatto è fin da subito positivo: le scelte dal punto di vista compositivo convincono, seguono la strada che ha sempre contraddistinto la formazione statunitense e mostrano la loro crescita degli ultimi anni. In partenza prevale il lato doom del lavoro, ma la compresenza della controparte death non passa in secondo piano. Abbiamo così ritmi dilatati che vanno a unirsi a un’atmosfera veemente; elementi classici, ma che vengono sfruttati con consapevolezza ed esposti in modo autentico. Quindi, per quanto le similarità con i connazionali Hooded Menace e altre formazioni che seguono scelte affini a loro si facciano sentire, non abbiamo tra le mani un lavoro eccessivamente derivativo. Non si fanno attendere pezzi dall’attitudine più battagliera, feroce, con i bpm che aumentano, di cui già la seconda “The Watcher” ne è l’esempio, visto anche l’assolo tagliente presente nel finale. L’utilizzo degli assoli è ben gestito dalla formazione finlandese: la maggior parte dei pezzi ne contiene almeno uno, e, in ogni caso, si ha un inserimento egregio nel contesto di questo elemento. Lo si può notare in “Below Black Waters”, dove viene mantenuto un clima decadente, così come in “Chasm of Shattered Blood”, nella quale un’aggiunta più vigorosa è più adatta per il contesto. La finale “A Rain of Ash” riassume i due estremi che abbiamo potuto osservare fino a questo momento, e, anche grazie alla sua lunga durata (unico pezzo sopra ai dieci minuti, anche se di pochi secondi) li espone senza trascurare eccessivamente nessuna faccia della medaglia. La partenza è diretta, aggressiva, ed è netto il cambiamento presente nella parte centrale, in cui ci si avvicina al funeral doom con i tempi dilatati e la melanconia che viene trasmessa per tutta la durata rimanente del brano.
Il risultato finale è senza dubbio da premiare, dopo quattro anni di silenzio i Solothus hanno dimostrato molta maturità con un disco che riprende gli elementi già proposti in passato per ripresentarli in maniera più equilibrata e convincente. Il loro terzo album mette in evidenza la crescita del gruppo finlandese, una conferma molto apprezzata che è sinonimo di garanzia se si guarda al loro paese di origine.
(20 Buck Spin, 2020)
1. Father of Sickness
2. The Watcher
3. The Gallows’ Promise
4. Last Breath
5. Below Black Waters
6. Chasm of Shattered Blood
7. A Rain of Ash