La band francese, attiva da undici anni, sforna il suo quinto disco. Una cadenza precisa, prolifica quel tanto che basta per ammirarne la coerenza e soprattutto – visto alcuni particolari che andremo ad analizzare successivamente – l’urgenza di un messaggio, non solo prettamente musicale. Il black metal degli esordi ha progressivamente lasciato spazio a contaminazioni più moderne, quasi progressive nell’incedere; sicuramente si strizza l’occhio alle dissonanze di gruppi cult come Deathspell Omega ma anche al filone death metal che tante vittime ha fatto in questi ultimi anni. Durante l’ascolto affiora sovente un sapore riottoso tipicamente hardcore, con quel basso così oleoso, ad opera di Ian, mentre le voci, di Nemri (anche batterista) e Nehluj (chitarra), prediligono registri urlati che rimandano immediatamente alla scena scandinava. Quindi abbiamo una triangolazione tra black metal, dissonanze estreme e hardcore: una mistura letale e difatti questo Ainsi finit le jour si rivela un bel disco, capace di soddisfare più palati.
Come detto in apertura, il trio della Normandia, oltre ad una proposta musicale pesante, porta nelle liriche tutta una serie di messaggi che, visto l’angoscioso andazzo mondiale, tra fascismi di ritorno, guerre sanguinarie, capitalismo sfrenato e tante altre belle schifezze, denotano una sensibilità che spesso latita nel mondo musicale. Le danze si aprono con “Des feux plus forts”, poco meno di quattro minuti dove i Sordide trattano il fascismo come va trattato: a pesci in faccia. Un brano deciso, che punta dritto al sodo senza tanti giri di parole. La successiva “Nos cendres et nos râles” è un viaggio dentro la profondità dell’animo, otto minuti pieni di cambi di tempo, dissonanze, ritmiche marziali e assassine. Il senso di soffocamento prende il sopravvento, è un suono caldo, avvolgente, che non lascia scampo. “Le cambouis et le carmin” porta con sé un po’ di melodia, sempre malsana e dall’alto tasso di tossicità. Un testo che narra del passato, di come la vita sia stata sacrificata inutilmente. La canzone poggia il suo andamento su un basso imponente con una batteria complice; sul finire ai tre si chiude giustamente la vena e inizia un po’ di cacofonia (che va detto, ci sta benissimo). Anche nei ritmi più lenti, dove la sofferenza diventa la matrice del brano, la qualità finale non si abbassa e “Sous vivre” ne è un fulgido esempio. Ma la poliedricità è di casa e “Banlieues rouges” invoca il fantasma dei Baroness a suonare del rock sporco, lisergico, con chitarre quasi spaziali: sicuramente uno delle canzoni migliori del disco. Con “La poésie du caniveau” si torna a battere i territori più marci e oscuri del black metal, senza mai staccare il piede dall’acceleratore della modernità. Le chitarre sono taglienti, glaciali, riversano una cascata di note che sanno far male. La title-track allarga questo solco di dolore, si rompono gli argini, il sound diventa straripante e la band travolge ogni cosa mentre “Tout est à la mort” predica la calma, con una grossa porzione ai limiti del doom e dello sludge dopato che tanto ci fa vedere i mostri nel cielo.
I Sordide riescono ad amalgamare bene le differenti anime del proprio sound, non c’è quasi mai la sensazione di pasticciare e questo denota una buona coscienza di se stessi. Con questo ultimo lavoro in studio dimostrano che sanno da dove arrivano, stanno nel presente, lo plasmano e ne fanno un futuro che, in barba al genere che propongono, possiamo definire “solare”.
(Les Acteurs de L’Ombre Productions, 2024)
1. Des feux plus forts
2. Nos cendres et nos râles
3. Le cambouis et le carmin
4. Sous vivre
5. Banlieues rouges
6. La poésie du caniveau
7. Ainsi finit le jour
8. La beauté du désastre
9. Tout est à la mort