Un album collaborativo tra due entità artistiche di tale spessore è un dono. I Sumac, che ben conosciamo per il loro girovagare tra scenari post-apocalittici e deserti di acciaio e distruzione, con quella proporzionata mescolanza di doom, sludge, noise e drone, da anni sfornano dischi che sono punti cardinali nel panorama estremo musicale. Moor Mother, nome d’arte di Camae Ayewa, è una poliedrica artista che si divide tra poesia, musica e attivismo. Il suo approccio all’hip hop è stato innovativo, trasversale, con quella destrutturazione nel comporre rime, nel riformulare il flow, diventando in pochissimo tempo una delle stelle di punta per il rap “che ha davvero qualcosa da dire”. Il tutto, ovviamente, senza dimenticare il Cristo nero chiamato Gil Scott-Heron. L’incontro tra questi due pesi massimi ha generato The Film, un’opera monumentale; con una durata poco inferiore all’ora, questo disco non propone un facile approccio. Occorre uno sforzo, un propedeutico lavoro di pazienza, di apertura, per cogliere e accogliere ogni singola sfumatura, ogni curva che va a scompaginare un reticolato altrimenti noioso e prevedibile.
Tutto l’album è un concept su temi sociali. Si parla del nostro pianeta, della crisi climatica, di diritti civili, di immigrazione, di moderna schiavitù, di esseri umani che non hanno volti o nomi, di guerre, di una pace mondiale impossibile da raggiungere, di alienazione, depressione, isolamento, paura. I Sumac portano il loro wall of sound, col drumming solido e – per il genere – fantasioso di Nick Yacyshyn, ben supportato dal basso vibrante di Brian Cook, il quale sa infilarsi con maestria nei pochi spazi concessi dal marasma sonoro evocato in queste otto tracce; e che dire del lavoro di Aaron Turner, con quella chitarra che sa essere lama tagliente e unguento miracoloso, passando da sfuriate post-hardcore che abbracciano tutto il catalogo Relapse a polverose divagazioni fuzz, senza scordarsi arpeggi sognanti e psichedelici. La voce di Moor Mother, i suoi inserti elettronici, le sue incursioni noise, è perfetta per raccontare, in forma di protesta e grido d’allarme, con quelle spoken words così disperate, potenti, espressive, il tramonto dell’umanità. Sulla carta, visto i protagonisti coinvolti, questo disco non avrebbe nulla di nuovo da offrire, se non della buona musica. Ma per scrivere buona musica ci sono diversi modi, diverse strade e il connubio artistico qui presente ha scelto quello più inaspettato: la varietà. Certo, i tratti somatici dei rispettivi sound sono tutti rappresentati e rispettati, sarebbe impossibile rinunciarci, sarebbe innaturale fare diversamente. Ma collaborare è anche fondersi, scendere a compromessi, sporcarsi le mani, conoscersi meglio conoscendo il prossimo. Il pachidermico sound dei Sumac spesso lascia spazio a momenti dove i ritmi si affievoliscono, diventano quasi delicati, rockeggianti, ariosi; improvvisi squarci melodici, come un sole caldo dopo un violentissimo temporale estivo. E Moor Mother non è da meno, con spoken words che si svestono della rabbia, della voglia di rivalsa, allargando lo spettro vocale a porzioni di cantato che risulta caldo, morbido, un porto sicuro nel mare in tempesta. Quando poi duetta con un ispirato Aaron Turner è poesia pura. Nerissima. The Film mantiene ugualmente alta la tensione con brani lunghi – l’ultima traccia è un monolite di 16 minuti abbondanti, un calderone dove si può trovare di tutto, ubriacandosi, ustionandosi – che si aprono a scenari inattesi e lo fanno gradualmente, ascolto dopo ascolto, e qui torniamo al discorso iniziale: ci vuole il giusto approccio, è musica di difficile fruizione, è mutevole, cangiante, è una finta di corpo che manda l’avversario sempre dalla parte sbagliata. È un guscio sottile e fragile, lo schiudersi è un biglietto della lotteria.
Questo è un album che va considerato come le opere di un tempo, un moderno Bolero, e che ha la sua collocazione migliore su un palco. Perché il sapore cinematografico, direi documentaristico, e la sua evidente natura di improvvisazione, di jam session, rendono The Film una vera e propria installazione capace di muoversi nell’aria, nel tempo, nello spazio. Sumac e Moor Mother hanno partorito una creatura maestosa, mitologica. Potrebbe essere un messia, potrebbe essere l’apocalisse. Le sfumature, l’infinita scala di grigi, fa tutta la differenza di questo mondo e The Film pare saperlo benissimo.
(Thrill Jockey Records, 2025)
1. Scene 1
2. Scene 2: The Run
3. Hard Truth (feat. Candice Hoyes)
4. Scene 3 (feat. Kyle Kidd)
5. Scene 4 (feat. Sovei)
6. Camera
7. The Truth Is Out There
8. Scene 5: Breathing Fire