Qualcuno non conosce i Sunn O)))? Probabilmente il 98% delle persone che legge GOTR sa chi sono, cosa fanno e cosa faranno, anche se questa volta qualcosa è cambiato. Andiamo però per ordine: Un ragazzo di nome Dylan Carlson a quindici anni decise di diventare un musicista e a ventidue anni fondò gli Earth; dopo qualche anno fece uscire Earth 2 – Special Low Frequency Version, è il 1993 e questo album sta alla base del drone doom. Greg Anderson e Stephen O’Malley invece sono i Sunn O))), hanno preso quel disco uscito nel ’93 e l’hanno reinventato, oscurando ancor di più l’atmosfera sia sul disco che fuori, dato che sono soliti presentarsi ai live incappucciati e vestiti con un saio nero come la notte. Il loro nome non è stato scelto solo in riferimento alla famosa marca di amplificatori Sunn, ma anche per citare il loro principale gruppo di riferimento, gli Earth. Sono passati diciassette anni dalla fondazione dei Sunn O))) e con Kannon è il loro ottavo album, anche questa volta sotto la Southern Lord Recordings, etichetta fondata dagli stessi membri del gruppo.
Questo nuovo disco si presenta con un concept ben definito e molto forte, incentrato su Kannon, il bodhisattva della misericordia nel buddismo, colei che ascolta i lamenti del mondo. L’album è composto da tre tracce, prive di un vero e proprio titolo ma riportanti semplicemente il nome della dea più una suddivisione numerica romana: I, II, III. Numerose le collaborazioni, e non solo musicali: alla critica teorica Aliza Shvartz sono state commissionate le note di copertina, la designer Angela LaFont ha creato la scultura per la cover, infine la fotografa Estelle Hanania ha catturato i due membri del gruppo, insieme ad Attila Csihar (la voce dei Sunn, la più lunga collaborazione del gruppo) dentro l’Emanuel Vigeland Museum. Ad un primo ascolto si nota subito come i riff sembrino leggermente più veloci rispetto a quanto eravamo abituati (soprattutto in “Kannon I”); inoltre, l’atmosfera che si respira è più sacrale del solito (i canti gregoriani al suo interno intensificano ancora di più la cosa), meno fredda e più distate da lavori tipo Black One. Per quanto rimanga qualcosa di scuro si vede uno spiraglio di luce, si sentono le influenze “orientali”, grazie anche ad un massiccio uso di strumenti asiatici (non a caso Kannon è il nome giapponese della dea, e si sa che i due hanno un forte legame con il Paese del Sol Levante). Le tre tracce si intersecano fra loro, creando un album tenuto insieme da un filo conduttore forte che vi cattura dall’inizio alla fine, senza che si sia portati ad ascoltare principalmente una o l’altra canzone. Le chitarre e il basso sono sempre la parte principale del sound Sunn O))), anche questa volta si sentono molto potenti e disturbanti, ma in un qualche modo sembrano più contenute a livello di effetti, quasi più melodiche e trascendentali. La voce di Attila è sempre molto teatrale e dona all’album un tocco di sofferenza non indifferente, raggiungendo picchi altissimi pure per la sua carriera. I suoni sono ottimi, tutti gli strumenti suonano e sono legati in maniera magistrale, ma nel complesso il volume del disco risulta essere lievemente basso.
L’album dura trentatré minuti totali, insolitamente pochi rispetto alla normale longevità dei loro full-length. Sembra quasi che manchi una traccia, soprattutto considerando che “Kannon III” pare sia una rivisitazione di “Cannon”, canzone eseguita in sede live nella cattedrale di Johannes (Bergen) ed inserita nel live album Dømkirke (2008). Detto ciò, tuttavia, il disco risulta essere molto compatto e ben definito: c’è da dire anche che questa durata ridotta, unita ad un sound più “morbido”, rende Kannon più accessibile, soprattutto lo sarà per chi si approccia per la prima volta al gruppo e al genere.
(Southern Lord Recordings, 2015)
1. Kannon 1
2. Kannon 2
3. Kannon 3
7.0