Difficile scrivere su questi nuovi Sur Austru, se prima non si compie un piccolo balzo indietro nel tempo a quel fatidico 21 marzo 2017. Questa data segna la morte di Gabriel “Negru” Mafa, batterista e – allora – unico membro fondatore rimasto di una delle più sorprendenti black/folk metal band del nuovo millennio, i Negură Bunget. Tuttavia, tale data non coincide solamente con questa tragedia, perché da essa ne è derivata – come lecito aspettarsi – la cessazione di qualsiasi attività discografica di quel nome che era riuscito a dar lustro, come nessun’altro prima, alla tradizione folcloristica romena, inserendola in un contesto black magistralmente arrangiato, introspettivo, pregno di fascinazione per la natura, colto, fortemente personale e incanalato in brani dal minutaggio lungo. Chi ha seguito i fasti della band transilvana è a conoscenza di un altro evento cataclismatico che di fatto suddivide la carriera della band di Timișoara in due fasi. Uno split interno che vide Negru cambiare spesso membri durante gli ultimi sette anni di vita dei Negură Bunget, dopo la defezione degli altri due membri storici: Hupogrammos e Sol Faur, che di lì a poco diedero vita ai Dordeduh…ma questa è un’altra storia, che non affronteremo tra queste righe. È proprio nel 2013 che, indirettamente e involontariamente, ha inizio la storia dei Sur Austru. Tibor Kati (voce, chitarre, tastiere), Ovidiu Corodan (basso) e Petrică Ionuţescu (flauto tradizionale, nai o ney, tulnic o bucium e kaval) vanno a costituire l’ultimo nucleo noto dei Negură Bunget, che inciderà quei due lunghi parte di un’incompiuta “trilogia transilvana”: Tău e Zi (Lupus Lounge, 2015, 2016).
Dopo la morte di Negru, i tre membri nominati sopra voltano pagina e ripartono da zero, forti dell’esperienza quadriennale presso la corte del batterista defunto: nascono ufficialmente i Sur Austru. Una nuova creatura che non è esattamente una fenice risorgente dalle proprie cenere, poiché non vi è stata nessuna appropriazione del monicker a scopo di ingannevoli scopi commerciali. Ciò che è stato, è e rimarrà per sempre, detto in un gergo più terra terra, curriculum. Tuttavia, questa onestà artistica va premiata e riconosciuta. I Nostri sono, molto più semplicemente, l’onda lunga, un proseguimento dell’eredità e (in parte) del modus operandi trapiantati in terra transilvana da Negru e soci, ma che deve essere inquadrata obbligatoriamente come un’entità a sé stante. Ed è forse in questo motivo che risiede la sola parziale riuscita di questo Meteahna Timpurilor, pubblicato dalla nostra Avantgarde Records. Un lavoro che convince e non convince, con tutti i pro e i contro che un’affermazione di questo tipo si porta appresso, seppur si tratti di un esordio che va ben oltre la soglia di sufficienza, come si evince dal voto in calce. Cosparso, inoltre, di episodi dall’appeal magnetico (“De Dincolo de Munte”, “Mistuind”, “Dor Austru”, “Jabracie”) che ne decretano la buona riuscita complessiva, Meteahna Timpurilor è un viaggio di cinquantadue minuti nelle due anime della Transilvania: nel suo cuore più primitivo e rurale, così come nei suoi margini, nei suoi bordi, nei suoi limites geografico-culturali. Si veda, appunto, una Arad a caso, città d’origine del neoleader Tibor Kati e nuovo quartier generale della band, non così lontana dai confini serbi e ungheresi (come lo era Timișoara nel caso dei Negură, del resto…). È in quest’ottica che va letta e ascoltata quest’opera prima: non esente da difetti o da brani, ad esempio, eccessivamente lunghi, l’album si presenta come un crogiolo folk/black piuttosto diretto, lontano dall’introspezione bungetiana, che spesso scivola in segmenti death/doom inappropriati, dando come l’impressione che i Nostri debbano ancora trovare una quadratura del cerchio, una formula definitiva, e pertanto, totalmente vincente, ma al contempo rivolta a soluzioni non canoniche. Almeno oggi. Al netto di questa mancanza di coesione fra i generi che emerge nella successione degli otto brani, la band scopre la prima carta vincente con l’opener (e primo singolo), “De Dincolo de Munte”, un raffinato e potente collage dominato dalle stratificazioni di strumenti a fiato, canti in pulito e dall’avvincente sezione black conclusiva. In “Puhoaielor”, primo brano scricchiolante del lotto, emerge maggiormente una vena metal rispetto al brano precedente, ma la scelta non è da premiare, in quanto il perenne senso di oppressione generato dall’atmosfera death/doom si amalgama ben poco con la piega ritualistica che vuole prendere il brano in alcune sezioni, peraltro riuscite. Al contrario, alla successiva “Mistuind” c’è poco da criticare: cinque minuti racchiusi tra struggenti linee atmospheric black e inserimenti di tutto l’arsenale “a fiato” del quale dispongono i Nostri azzeccati, che sfociano in un tagliente riff che come una folata di vento scaccia ogni nube, e ogni dubbio sulla qualità della band. “Bradul Cerbului” disattende ancora le aspettative di continuità qualitativa: trattasi di un brano dal classico incedere black feroce e battagliero, strutturato su poche soluzioni e nel quale si intravedono sparute offerte sul piano folk. “Dor Austru”, con i suoi undici minuti, riprende da dove la (quasi) strumentale “Jale” si era interrotta, ovvero ridonando centralità a Petrică Ionuţescu, elemento di capitale importanza per il sound della band, oggi e domani. Trattandosi di una suite, si ha modo di incontrare tutto quello che offrono i Sur Austru al loro esordio: insipide sezioni metal, ancora da levigare o da approfondire, e grandi squarci melodici, messi a segno prevalentemente dal flautista, che difficilmente non faranno spostare la nostra attenzione dal luogo in cui ci troviamo mentre ascoltiamo questo lavoro ad una qualche sperduta foresta degli Apuseni vicino Cluj-Napoca. “In Timp Vernal”, letteralmente in primavera, dona allegria all’atmosfera con i suoi continui passaggi medievaleggianti, ma cede il passo davanti ad un altro degli highlights dell’album: “Jabracie”. Presentato come secondo singolo di lancio, i Nostri chiudono nel modo migliore l’opera piazzando il brano metal-oriented più coinvolgente del lotto: un brano connotato da un’insolita ispirazione della coppia Kati/Florea, che spicca in una serie di fraseggi ipnotici ed epici volti a spaccare l’andatura (e l’ossatura) del brano, ma soprattutto, utili come non mai per non far scivolare questo tassello nel calderone dei “brani piatti”.
Lo ribadiamo: non dev’essere fatto nessun paragone col passato. I Sur Austru sono loro e nessun altro e brillano di luce propria. Al netto di qualche calo e qualche carenza leciti di un esordio – su tutti un lavoro delle chitarre che poteva essere ampliato maggiormente e l’area metal che bisticcia con l’area folk -, siamo convinti che, dati i singoli episodi qui presenti e data l’esperienza di tre dei sei membri della band, il futuro possa riservare delle gran belle sorprese, dalle coordinate geografiche di quel crocevia culturale che è la Transilvania.
(2019, Avantgarde Music)
1. De Dincolo de Munte
2. Puhoaielor
3. Mistuind
4. Bardul Cerbului
5. Jale
6. Dor Austru
7. In Timp Vernal
8. Jabracie