Sottogenere del sottogenere, il cosiddetto hellenic black metal vanta una storia prossima a compiere i trent’anni di vita, se consideriamo l’anno 1993 come annus mirabilis per il metal estremo greco, poiché videro la luce (capo)lavori quali Thy Mighty Contract, His Majesty at the Swamp, Eosforos e Crossing the Fiery Path. Tre delle quattro pubblicazioni citate sopra sono state pubblicate da quello che potremmo definire il “sacro triumvirato” di questa declinazione del black metal: Varathron, Necromantia e, dulcis in fundo, Rotting Christ. E da un fenomeno che riscontra successo di critica e pubblico – fermo restando che ci troviamo sempre in ambito underground, o poco più -, è lecito attendersi un “qualcuno” che, per le più sparute ragioni, guarda alle colonne portanti del genere e decide di suonare come loro. È un fenomeno che si può scorgere in ogni sostrato della musica underground, rock, metal o punk essa sia: intere legioni di giovani band schierate a mo’ di falange oplitica esigono, pretendono, vogliono suonare come i mostri sacri, alle volte suonando maldestramente come copie carbone sbiadite, alle volte riuscendo nel mastodontico tentativo di apportare elementi nuovi in generi che “hanno già detto tutto venti, trenta, quarant’anni fa”, citando il disattento ascoltatore medio.
Questo “qualcuno”, nel nostro caso, si chiama Synteleia e si tratta di una band ateniese formatasi nel 2015, che si colloca nel mezzo di questi due schieramenti. All’attivo i Nostri hanno alle spalle una sola demo, Astral Blasphemies (2016) e un gran desiderio di inserirsi fra i futuri portabandiera del black di provenienza greca. Ending of the Unknown Path, pubblicato con il supporto della statunitense Hells Headbanger Records, si presenta come un lavoro che rispetta tutti i sacri crismi dell’hellenic black: accelerazioni violente, rallentamenti atmosferici, intarsi di tastiera evocativi, riffing in palm-muting delle sei corde che gioca un ruolo fondamentale nell’economia dell’opera, drumming serrato e altri orpelli che un die hard fan del genere si aspetta. Per i più esperti, o a titolo informativo, i Nostri prediligono la prima variante estetica di questo genere, ovvero quella più scarna e oscura, ben lontana dalle aggiunte folcloristico-mediterranee divenute parte integrante del genere negli anni successivi. “Old-school hellenic black metal”, recita il banner promozionale, e così sia: i Synteleia, il cui vocalist, Nyctelios, ricorderà ai più il primo Sakis Tolis, sciorinano una matassa di nove brani densi di richiami ai fasti di un’era ormai sepolta tra le macerie di qualche tempio millenario. Nonostante la fantasia, almeno in questo primo lungo, non sia affatto di casa, Ending of the Unknown Path farà sicuramente la gioia di molti nostalgici di quell’epoca in cui, prima dell’avvento di internet e di altre diavolerie tecnologiche, tutto era avvolto tra nebbie e mistero. “Deamonica Infernalium”, opener e singolo, è sicuramente uno degli highlights del lotto, retta da un incipit terremotante estratto in toto dalle pietre miliari del genere e spezzata da un break di tastiere degno dei grandi gioielli donatici da George Zacharopoulos, al secolo Magus Wampyr Daoloth. Poco resta impresso nella sezione centrale dei brani, in cui si scorge un calo complessivo nel songwriting, in particolar modo in colui che dovrebbe donare lustro ai tasselli: Drakon Hesperion. Si ritorna a gioire con l’arpeggio dello stesso che introduce la sesta traccia, “Celephais”, in cui prendono il sopravvento deliziosi cambi di tempo e linee soliste decorate da quei giri chitarristici che hanno fatto la fortuna del genere. “Missioner of Sorrow”, seconda traccia presente nella demo insieme a “Dark Summoner of Yog-So Thoth”, è un riuscitissimo mid tempo bell’e pronto per i live (salvo un’accelerazione sul finale in concomitanza con l’assolo), in cui i simbolici termini “Solitude! Nostalgia!” cantati da Nyctelios si ficcano in testa…e ben descrivono le atmosfere di cui vive questo genere. “Many Masks of Nyarlathotep”, con la sua partenza forsennata che sfuma col passare dei minuti verso un climax verticale colorato da toni ritualistici macchiati di sangue, scavalca, qualitativamente parlando, la conclusiva “The Black Goat Rites”, il cui unico barlume di luce è una voce lirica femminile posta in chiusura, a fronte di una serie di soluzioni stilistiche già ripetute più volte in questo lavoro.
Come si può dedurre, questo primo lungo d’esordio contiene pregi e difetti in egual misura: non è affatto errato parlare, pertanto, di lavoro acerbo. Una dose di manierismo, un’altra di pochezza compositiva e un’altra di buone trovate emergono in questi quarantacinque minuti, lasciandoci con l’amaro in bocca spesso e volentieri. Come si diceva e come si sarà intuito, i Synteleia non sono la copia sbiadita di nessuno (anche se a tratti i rimandi sono palesi…) e non hanno nemmeno pubblicato un classico contemporaneo: allo stato attuale delle cose sono un gruppo che deve ancora capire come impressionare per sfuggire all’anonimato, pena il rischio di rimanere relegati allo scaffale di qualche fanatico. Nel frattempo, ci si aggrappa a quanto di buono si è sentito e si incrociano le dita per il futuro, perché questo primo sforzo è un lavoro piacevole e raramente annoia, ma si tratta pur sempre di un disco per nostalgici. Nulla di più, nulla di meno. A qualcuno potrà andare bene così, a noi fino a un certo punto.
(2019, Hells Headbangers Records)
1. Daemonica Infernalium
2. Dark Summoner of Yog-Sothoth
3. Ending of the Unknown Path
4. Three Oaths to Dragon
5. Ithaqua, Thy Mighty Storm
6. Celephais
7. Missioner of Sorrow
8. Many Masks of Nyarlathotep
9. The Black Goat Rites