TEMPLES FESTIVAL DAY 3
MOTION, BRISTOL
31 / 05 / 2015
Ci svegliamo storditi, ancora sotto l’incantesimo sonoro dei Sunn O))). E’ domenica, nonché giorno conclusivo della rassegna musicale del Temples. Anche quest’anno possiamo dire di avere partecipato a grandi esibizioni e ci prepariamo ad una più che degna conclusione.
Questa volta a darci il buongiorno ci sono i Monarch!, capitanati dalla bella Emilie, che con urla stridenti orienta il denso magma di sludge e drone prodotto dalle chitarre e dal basso. L’atmosfera e la presenza della cantante sembrano contribuire ad una standing ovation finale da parte del pubblico, decisamente reattivo malgrado l’ora. La band commossa saluta e ringrazia i presenti tra scroscianti e interminabili applausi.
Il concerto dei francesi Year of no Light non inizia nel migliore dei modi a causa di qualche problema tecnico alla tastiera, che viene risanato dal secondo pezzo in poi. Il solido mix strumentale di post metal e doom inizia così a coinvolgerci, accompagnato da un intenso intreccio tra fumo e luci bianche e rosse. L’impressione è di assistere ad un’esibizione di grande professionalità che ha molto poco di cui invidiare alla maggior parte dei gruppi del genere.
Una batteria e un basso. Il set-up più scarno e minimale dell’intera rassegna è quello dei britannici Ghold, duo formato da Paul Antony e Alex Wilson, che ha saputo stupirci per autenticità e violenza sonora sprigionata. Non conoscevamo questo progetto prima di vederli all’opera a Bristol, eppure i pezzi, anche se ascoltati per la prima volta, ci entrano in testa e intrattengono senza particolare sforzo. In un connubio tra sludge e noise, i nostri sprigionano una notevole energia, senza cercare di suonare troppo “robusti”. Bella scoperta.
Anche in questo terzo giorno troviamo grandi nomi sul secondo stage. Il trio canadese KEN Mode si è recentemente reinventato in una veste noise rock e i suoni aspri e acidi del live lo confermano. Con una scaletta equilibrata tra brani più datati e materiale del nuovo Success il gruppo riesce a lasciare il proprio segno al Temples, con una performance decisamente convincente ed esplosiva. Da non perdere se si ha l’occasione di vederli dal vivo, anche se siete tra quelli rimasti insoddisfatti dai cambiamenti sperimentati sull’ultimo full-length.
Si ritorna al first stage trepidanti per i giovani e talentuosi Pallbearer, che nel 2014 ci hanno regalato uno dei migliori album doom degli ultimi tempi. L’apertura è affidata a “World Apart”, mastodontico brano denso di atmosfera e pathos, magnifico e perfetto come su vinile. Uno dei pregi degli americani non è solo fare ottimi lavori in studio, ma riuscire a riprodurre quasi perfettamente la stessa energia live; a volte si nota qualche carenza sulla voce, ma è la strumentazione a farla da padrone nell’economia del Pallbearer-sound. Gli album dai quali pescare sono due, quindi c’è tempo anche per un tuffo nel materiale del primo disco, onirico e già visionario, con “Devoid of Redemption”. Qualcuno potrebbe pensare che si parli fin troppo di questo gruppo in giro, ma vedendo il gran numero di persone presenti alla loro esibizione e l’importanza data loro dall’organizzazione (nel bill precedono direttamente gli Earth) viene da pensare che l’attenzione per i Pallbearer sia già più reale che mai.
Un nome che non ci saremmo mai aspettati nel bill del Temples è quello dei Between The Buried And Me, fautori di un progessive metal moderno mai banale che caparbiamente strizza l’occhio a sonorità metalcore. Le ottime doti vocali di Tommy Giles Rogers accompagnano perfettamente le complesse trame del duo chitarristico Waggoner / Waring e i pezzi del nuovo Coma Ecliptic funzionano a meraviglia, coinvolgendo animatamente il pubblico. Inutile dirlo, una band valida è in grado di rendere al meglio e fare la propria porca figura in qualsiasi contesto, persino in quello meno consono: i BTBAM stasera l’hanno dimostrato a mani basse.
Ultimo giorno, ultimo gruppo, ultima legenda. Nonostante questo status acquisito da anni e rafforzato sempre più negli ultimi tempi, è bello notare come già dal pomeriggio sia possibile vedere camminare tra la folla, piegato dai suoi ormai cinquant’anni d’età, il mitico Dylan Carlson, unico vero membro della storica band di Seattle.
Gli Earth salgono sul palco tutti insieme e subito il Motion risponde con un boato di acclamazione. Si inizia con “There is a Serpent Coming”, pezzo rivisitato più volte dalla band, questa volta senza voce, solo le chitarre ci accompagnano verso il crepuscolo del festival. A differenza dei loro cugini Sunn O))), gli Earth hanno un sound decisamente più accessibile e meno estremo, capace di donarci un concerto incantevole, caratterizzato da un’atmosfera trascendente e anche un po’ malinconica. La loro esibizione si prolunga per più di un’ora e mezza, risultando comunque sempre piacevole e mai pesante; l’unico momento di rottura sopraggiunge con la rottura della chitarra di Carlson, che costringe il compassato musicista a fermarsi per chiederne in prestito un’altra.
Con questo delicato live si conclude il Temples Festival 2015. L’uroboro ha compiuto il suo ennesimo giro: esausti e già malinconici abbandoniamo le lande inglesi e questa riuscitissima kermesse musicale.