Jane Doe dei Converge era uscito da appena due anni, così come The Argument, il testamento dei Fugazi, mentre altri lavori seminali quali La fine non è la fine dei nostrani La Quiete e The Moon Is a Dead World dei Gospel dovevano ancora vedere la luce. Questi sono dei titoli per comprendere in che contesto è stato pubblicato originariamente Somnambulists dei There Were Wires nel 2003, nel pieno di un periodo in grande spolvero per la scena post-hardcore/screamo. Ora come ora il nome della band da Boston potrebbe essere irrilevante ai più, però anche loro hanno contribuito ad affollare la scena underground, con una formazione a cinque che dal vivo ha suonato e/o fatto tour con Converge, Mastodon e Daughters, tra gli altri. Parliamo oggi del loro secondo, e ultimo, album in occasione della ristampa in digitale e soprattutto – per la prima volta – in vinile curata da Iodine Recording e Tor Johnson Records, a 18 anni dall’uscita originaria.
Nelle note biografiche del gruppo viene specificato come gran parte delle loro energie le tenessero da parte per suonare dal vivo, e quell’atmosfera elettrizzante viene trasportata su disco senza penalizzare il suo impatto, per quanto possibile vista l’ovvia differenza tra i concerti e i lavori in studio. I brani in sé non sono particolarmente complessi, seguono fedelmente il sound che ha caratterizzato l’hardcore dei primi anni 2000, ma scorrono e vengono supportati dai legami tra molteplici elementi. Si hanno infatti pause, ripartenze e persistenti supplementi, che non scalfiscono la continuità nella successione delle tracce e le rendono un flusso in continua evoluzione. Le canzoni sono più articolate rispetto al loro debutto, ma non per questo meno istintive e sfacciate; si sente una natura più ragionata che non va a puntare esclusivamente sull’attacco frontale diretto ma plasma una mezz’ora di musica poliedrica. I momenti più cadenzati e di stacco non intaccano la vivacità dell’album, e si incastrano legando vari passaggi come nel caso di “New Doom” o in “Walking”, che sfocia nella tanto basilare quanto efficace “Get Cryptic”, probabilmente il brano che racchiude al meglio l’intera produzione. Nell’ascolto si nascondono anche trame più oscure, e “Gasp” ne è la chiara dimostrazione. Il pezzo più lungo del complesso si articola su un crescendo lancinante fino alla seconda metà formata da una successione di riff che scaricano una combinazione tra dolore e introspezione. A concludere questa ristampa troviamo la bonus track “Tunic”, cover dei Sonic Youth, proposta in una versione abbastanza scialba, che ha poco a che vedere con le tracce che l’hanno preceduta.
Somnambulists è un disco derivativo, ma indubbiamente genuino e meritevole di considerazione nell’approfondimento di quella che è stata la scena hardcore statunitense di inizio millennio. C’è anche da sottolineare come sia invecchiato bene, complice il tentativo ben riuscito e tutt’ora funzionale di distaccarsi dall’impronta di un lavoro concentrato esclusivamente sulla sfrontatezza, riuscendo a imbastire un reticolo più complesso di sensazioni che pur scrollandosi l’etichetta di “ristampa di un disco del 2003” non sfigurerebbe del tutto. Il secondo album dei There Were Wires non è indispensabile ma ha le sue qualità, e con questa nuova edizione potrebbe permettere al gruppo di farsi conoscere da una fetta di pubblico più ampia, dopo aver passato molteplici anni nel dimenticatoio.
(Iodine Recordings, Tor Johnson Records, 2021)
1. New Doom
2. His Talk, Her Teeth
3. Walking
4. Get Cryptic
5. Waking
6. Black Magic Rabbit
7. Gasp
8. Tunic