Attivi dal 2015 e con due EP alle spalle, i These Beasts, trio noise rock dalle disparate influenze musicali, decidono finalmente di cimentarsi nel loro primo album Cares, Wills, Wants. Saranno riusciti i tre dell’Illinois a miscelare al meglio la loro proposta musicale e a convincere le mie esigenti orecchie? Continuate a leggere questa recensione e lo scoprirete!
Mettiamo subito in chiaro una cosa: questo è un disco da ascoltare rigorosamente ad alto volume, un disco che si pone un unico obiettivo, ovvero quello di fare del gran casino con una chitarra, un basso ed una batteria; cos’è il rock, se non questo? Ma andiamo per gradi, facendo dei semplici conti matematici, prima di avventurarci nelle sconfinate lande sonore del trio. La durata complessiva dell’album supera lievemente i quaranta minuti, snodandosi in otto brani diversi, dalla durata media di cinque minuti ciascuno: un minutaggio non proprio esiguo per un gruppo che fa della musica indiscutibilmente diretta, guidata principalmente dalla chitarra. Cares, Wills, Wants risulta dunque noioso o ripetitivo? No, almeno non per la maggior parte della sua durata. Il combo di Chicago propone una scrittura dei brani asciutta, facendo della ripetitività dei riff la sua arma principale, convincendo particolarmente nelle sue parti più pop grazie a dei ritornelli estremamente orecchiabili, aiutati da una seconda voce al limite del distorto, ricordando fortemente quella dei compianti Acid Bath. Sarebbe dunque riduttivo incasellare “queste bestie” della musica solamente nel noise rock, dal momento in cui esse attingono a piene mani da varie fonti, primariamente dallo sludge, ma anche da un rock più composto. Sfido chiunque ad ascoltare brani come “Southpaw” e “Pecking Order” per poi scordarsene subito dopo; senza dubbio alcuno, queste sono le punte di diamante dell’album, trovando il giusto equilibrio tra la melodia chitarristica e la pesantezza delle pelli, martellanti e senza sosta. Però se da una parte Cares, Wills, Wants può vantare indubbiamente di vari pregi, non è neppure esente da criticità: la scrittura dei brani non è sempre delle più brillanti, non riuscendo a conferire a ciascuno di essi la medesima qualità, pur mantenendo una coerenza compositiva. La sezione batteristica funziona nella sua semplicità, decidendo fare a meno della doppia cassa (una scelta più che condivisibile per un gruppo noise rock), ma vi mentirei se vi dicessi che non l’avrei ardentemente desiderata sul punitivo finale di “Code Name”, brano che va ad aprire il lavoro.
Le idee dunque non mancano ai tre musicisti di Chicago, i quali avrebbero potuto elevare questo album esplorando maggiormente altri territori sonori, perdendosi nella psichedelia e rompendo la struttura che contiene gli otto brani di questo disco. Al netto di queste meticolose disamine, suggerisco questo album a chiunque ami le chitarre massicce, i ritornelli melodici, i Torche, e la musica non pretenziosa tutta: perché a volte, è proprio questo ciò di cui abbiamo bisogno, di farci scuotere le ossa da potenti scariche di watt, non preoccupandoci di null’altro.
(Magnetic Eye Records, 2023)
1. Code Name
2. Cocaine Footprints
3. Nervous Fingers
4. Pecking Order
5. Blind Eyes
6. Southpaw
7. Ten Dollars and Zero Effort
8. Trap Door