Conosciamo gli Ufomammut come pilastri di un genere musicale che in Italia non ha esempi portanti ai quali fare riferimento, a parte qualche straordinaria eccezione che trova sempre più seguito e comprensione all’estero. La band scelse coraggiosamente, nel lontano 1999, di essere pressoché la prima in Italia ad abbracciare questo tipo di musica che all’epoca era davvero qualcosa di alieno, di mai sentito prima (si contavano soltanto un centinaio di appassionati in tutto il Paese). Venticinque anni dopo arrivano a produrre il loro decimo album in studio dal titolo Hidden, che non delude certamente le aspettative dei fan di lunga data: per coloro alla ricerca di ascolti “pesanti”, sin dai primi secondi iniziali il disco fa letteralmente tremare la terra sotto i piedi; il sound è di una violenza micidiale, i riff di basso e chitarra ossessivi e monolitici, le ritmiche di batteria incalzano spietate.
“Crookhead”, traccia di apertura, è perfezione in termini di potenza sonora. Degni di nota sono i cambi di tempo e musicali che il gruppo intreccia durante l’esecuzione dei brani: l’opener termina infatti con un outro inaspettato, in grado di generare uno sfogo finale di autentica furia e veemenza. Significativo l’assolo di batteria conclusivo che mette in evidenza la ritmica solida di Levre, quasi a suggellare un patto di fiducia che il nuovo batterista ha instaurato con la band e che quest’ultima gli ha volentieri concesso. La pesantezza stoneriana insita in Hidden è sapientemente controbilanciata da incontaminate ventate di ossigeno, pura astrazione sonora di stampo psichedelico, con atmosfere surreali e talvolta eteree (notevole la cover di un anno fa di “Let Me Drown”, finissima reinterpretazione dedita a rendere omaggio alla storica band di Cornell da cui i Nostri hanno certamente attinto a piene mani). Nascosti dietro un’apparente intenzione strumentale generale, da sempre tratto distintivo della band, sono i testi dei brani, che rivelano molto più di quanto forse il trio non vorrebbe far emergere musicalmente, essendo le parti vocali un elemento secondario rispetto al suono e talvolta proprio esenti da esso: la band ci invita a riflettere sul significato del tempo, e sul significato della vita attraverso di esso; sulla disintegrazione dell’esistenza stessa, fino alla trasmutazione finale in qualcosa di Altro, di immateriale (“I dreamt I was a waterfall / Falling backward up to the sky / Melt myself into the stars / Like a swirl of light far from the fall”, da “Kismet”). Altra questione insita in Hidden è quella dei molteplici lati che pre-esistono dentro di noi: pensieri contorti divorano la nostra mente come sanguisughe (“Leeched”), talvolta assumendo la forma di bestie deformi, danzanti nella buia foresta della mente (“Crookhead”). D’altronde, preesistente a noi è anche l’universo stesso, la cui nascita è avvenuta nel tempo di un battito di ciglia, tramite un’esplosione di luce senza suono.
Gli Ufomammut con questo album dipingono e mettono in scena uno spietato quadro astratto dalle tinte espressioniste. Ci troviamo forse ad un punto di svolta nella carriera del noto gruppo piemontese, coincisa anche dalla recente entrata del nuovo batterista, il cui contributo ha permesso i Nostri, a mio parere, di produrre il disco migliore della loro carriera.
(Neurot Recordings, Supernatural Cat, 2024)
1. Crookhead
2. Kismet
3. Spidher
4. Mausoleum
5. Leeched
6. Soulost