Come dovremmo mai introdurre il nuovo Stare Into Death And Be Still degli immensi Ulcerate? I neozelandesi sono arrivati con facilità al punto in cui finalmente sono una certezza e un punto di riferimento, conosciuti ovunque e osannati ovunque. Il loro trademark sonoro è ben noto, è ormai cosa decisamente rara che alcuno non li conosca o non li abbia sentiti nominare, quindi tutto sommato molto bene, ogni tentativo diviene vano. Ebbene si può ben procedere ad avvisare chiunque legga quanto segue che il sesto (quinto se si fa come il sottoscritto che spesso ci si dimentica dell’ottimo Of Fractures And Failures, colpa del miracoloso fratello maggiore Everything Is Fire) album degli Ulcerate non è il consueto splendido lavoro, non perché vi sia qualche carenza rispetto ai precedenti, ma perché di consueto ha decisamente poco. Occorre precisare, in verità, perché se si cercano le caratteristiche scale dei nostri, i caratteristici tempi intricati, il profondo growling di Kelland, i virtuosismi di Saint Merat e i funambolismi di Hoggard sarà una ricerca tanto facile quanto ridicola, i nostri non sono cambiati per questi punti fermi e distintivi. La pelle però ha subito un mutamento, e questo mostro che non è mai rimasto tale e quale negli anni ha assunto caratteristiche nuove ed emozionanti, rallentando alle volte il passo, semplificando certi passaggi, compattando le atmosfere e sviluppando un gusto melodico mai così spiccato.
A dire il vero risulta un po’ arduo per lo scribacchino citare una traccia sulle altre, evidenziare sostanziali differenze tra le canzoni, identificare una predominante infatuazione per questa o quell’altra. Questo forse, per la prima volta dall’immenso The Destroyers Of All, è il pregio massimo di Stare Into Death And Be Still, ovvero quella compattezza compositiva che denota uno stato privilegiato nella sinergia dei nostri, che ripartisce in egual misura i proprio sforzi e i propri membri artistici modellando ogni traccia con la medesima verve. Senza però voler indurre in inganno, non si confonda il paragone prima riportato. Se il terzo effettivo lavoro dei Nostri era un trascinatore evanescente ed inquietante il sesto parto è invece denso, emozionale, dialogatore e forse meno epico e maestoso, ma è un tipo di brio completamente diverso. Stare Into Death And Be Still ha il palese intento di non schiacciare l’ascoltatore, ma di esserne un colloquiante a suo modo alle volte pacato, che ha sviluppato la sua parlantina per accomodare chi gli sta di fronte, saper condurre per mano durante il tempo che si trascorre insieme, mentre il fratello maggiore aveva il palese obiettivo di annichilire. Come tanto furono efficaci i distruttori tanto lo è questo sguardo sull’abisso, e se mai venisse il dubbio il titolo non è casuale.
Immaginatevi, se avete un briciolo di malattia mentale, di voler appunto osservare imperterriti la morte, il declino che la segue, la perdita, il lutto e la sensualità di questo (ad 1994) fino al punto di lasciare da parte tutto e d’immergervi in un catartico flusso incondizionatamente avvolgente. Con la loro sesta testimonianza in questa valle di lacrime gli Ulcerate, iniziatori di un nuovo appassionante cammino che già si era intravisto e che avevamo già accolto con cuore contrito con Shrines Of Paralysis, si fanno fautori di un dialogo appassionante sulla morte e su tutto il cosmo governato da questa, divulgatori di verità assolute con un’eleganza da encomio
(Debemur Morti Productions, 2020)
1. The Lifeless Advance
2. Exhale the Ash
3. Stare into Death and Be Still
4. There Is No Horizon
5. Inversion
6. Visceral Ends
7. Drawn into the Next Void
8. Dissolved Orders