Li si può amare o odiare, ma non si può non riconoscere negli Ulver una genialità ed una fantasia artistica cui pochi altri artisti possono aspirare. Dopo la cadenza annuale delle loro uscite ufficiali (non che stiano mai con le mani in tasca) da War of the Roses fino a Terrestrials i lupi si sono presi un po’ di tempo per sparire dalle scene dopo un’intensa attività live, per stuzzicare la fantasia e le attese dei fans con un misterioso quanto appetitoso annuncio. Prima l’annuncio della collaborazione mediante House of Mythology e poi la tanto agognata conferma di un nuovo lavoro. E, sempre fedeli allo spirito d’innovazione che li distingue, Rygg e soci hanno deciso così di rilasciare al mondo intero quello che potrebbe essere il più eclettico dei loro lavori fino ad oggi, l’impronunciabile ATGCLVLSSCAP.
Un mix di sperimentazione, improvvisazione e remix di brani dei precedenti lavori è ciò che si trova all’interno di questo nuovo figlio degli Ulver. Così come dal vivo spesso amano fare i nostri, dedicandosi cioè un siparietto di improvvisazione collettiva, così questo album vuole proporre l’anima più sperimentale di un progetto che della sperimentazione ha incarnato l’essenza più varia. Non è difficile riconoscere accenni a Blood Inside nel finale di “England’s Hidden”, così come balza subito all’orecchio l’evidente riferimento a “Glamour Box” (da Messe I.X-VI.X) in “Glammer Hammer”, elemento che fa da altare per strutture che non stravolgono il brano ma gli donano una seconda splendida pelle, meno orchestrale e più incline ad un vero concerto di rock sperimentale; sfidiamo chiunque a non notare il palese attaccamento di “Moody Stix” a quel capolavoro che fu A Quick Fix Of Melancholy, qui infarcito di elementi drone e frequenze che rinforzano un brano già bellissimo di suo.
Proseguendo nell’ascolto si giunge all’interno di quella che è la vera e propria componente sperimentale di ATGCLVLSSCAP, fatta di krautrock che si mescola con marcate influenze elettroniche, ambient (di un gusto sconcertante) e d’improvvisazione fine ed elegante, mai tronfia o realizzata per il solo gusto onanistico dei musicisti coinvolti. Qui per l’ennesima volta il volto dei Nostri si perde per assumere tante sfacettature quante sono le possibilità offerte dall’abilità di questi musicisti. “Cromagnosis” rapisce col suo incedere ripetitivo quasi a voler dare una forma ulteriore all’essenza ideologica del drone, “The Spirits That…” stordisce con risvolti dark ambient, mentre “Om Hanumate Namah” porta la memoria agli anni ’70. Seguono divagazioni cinematografiche quasi carpenteriane (“Desert Dawn”), lunghe divagazioni chill out (“Gold Beach”), fino a che la ristrutturazione musicale si avventa su un noto brano di Perdition City. E’ forse questo il brano che più rende manifesta l’anima dell’album, ovvero innovare e ricreare partendo da fondamenta che siano non solo preservate ma anche avvalorate.
Chiudono in bellezza il delicato piano di “Ecclesiastes (A Vernal Catnap)” e gli archi di “Solaris”. Lascia l’amaro in bocca il silenzio che segue alla fine dell’album, perché non si sarebbe mai sazi di una vèrve creativa di tali imponenti dimensioni e delle emozioni che ne vengono trasmesse. Addomesticando il proprio ego, incatenandolo ed asservendolo ad un disegno finale enorme, gli Ulver ci permettono di godere nel 2016 di un’altro tassello fondamentale della loro discografia. Vengano ancora i lupi, non travestiti solo da pecore, in mezzo a noi e per noi.
(House of Mythology, 2016)
1. England’s Hidden
2. Glammer Hammer
3. Moody Stix
4. Cromagnosis
5. The Spirits That Lend Strength Are Invisible
6. Om Hanumate Namah
7. Desert Dawn
8. D-Day Drone
9. Gold Beach
10. Nowhere (Sweet Sixteen)
11. Ecclesiastes (A Vernal Catnap)
12. Solaris