Pur approfondendo un ambito già esplorato, in cui non sono i soli a dire la loro, gli Underdark cercano esprimersi con uno stile diretto e accattivante, che evita di risultare inconsistente. Il debutto Our Bodies Burned Bright On Re-Entry, pur acerbo, ha permesso ai Nostri di muovere i loro primi passi e presentare un blackgaze poliedrico e dinamico, che mette in mostra senza problemi tutte le diverse influenze che lo compongono, e il suo successore Managed Decline, in uscita per Church Road Records, ne segue le stesse impronte, cercando di affinare il songwriting e di congiungere al meglio tutti i suoi elementi.
Fin da subito nell’ascolto prevalgono sensazioni decadenti, che avvolgono in un grigiore piatto e sconfinato. Questo sentirsi impotenti al cospetto di una forza oscura più vigorosa si lega alle tematiche del disco, in cui il degrado e lo scialbore affliggono una città in un contesto post-industriale, generazione dopo generazione. “Managed Decline I (1st April 1988)” definisce al meglio l’atmosfera dell’album, con un’evoluzione che valorizza sia i momenti flemmatici che le scariche di pura energia. Le parti di chitarra si intrecciano funzionalmente, con un’attenzione mirata che viene data all’aspetto melodico, abile nell’enfatizzare al meglio il vigore dei passaggi più robusti, senza dimenticare gli attimi di riflessione, con pause in pulito che rendono più avvilente l’impatto delle composizioni. Per dare riferimenti precisi, lo stile della band originaria di Nottingham ha affinità con i Deafheaven di Sunbather e New Bermuda, oppure, più velatamente, con i canadesi Respire, trovando un buon equilibrio tra il predominante black metal fortemente atmosferico e dei richiami screamo e post-rock in secondo piano ma non per questo ininfluenti nello scenario generale. A irrobustire quanto già modellato dall’aspetto strumentale ci pensa anche una performance vocale della cantante Abi più convincente rispetto a quella messa in mostra nel debutto, specialmente per l’enfasi che ha il suo timbro, talvolta graffiante e in altri passaggi delicato, sulle dinamiche dei brani, quando chiamato in causa. In sostanza, non si notano particolari cambiamenti rispetto al passato in quanto a scelte stilistiche, ma viene dimostrata più consapevolezza sui propri mezzi, e nonostante l’ancora presente impronta di altre formazioni, la strada intrapresa dai Nostri è quella giusta. I miglioramenti a livello di songwriting si notano, però con l’avanzare delle canzoni tendono a sbiadire: le canzoni in sé rendono, ma a livello di album manca la coesione e la personalità per convincere dall’inizio alla fine. È la prima metà di Managed Decline quella afflitta, a lungo termine, dalla mancanza di chimica e di solidità, ma va anche detto che nel finale, con “Enterprise (1st November 2004)” e “Managed Decline II (2nd November 2004)”, gli inglesi mostrano che il potenziale non gli manca, ma semplicemente deve ancora esprimersi al meglio: questi due pezzi chiudono il lavoro con una nota positiva, ben equilibrando l’energia con l’atmosfera tetra.
Un buon passo in avanti per gli Underdark, che non si traduce nel loro salto di qualità definitivo, ma indirizza gli inglesi nella giusta direzione. Managed Decline è ancora troppo derivativo per lasciare un segno netto, però mostra, specialmente nel finale, dei segnali propositivi da cui i Nostri potrebbero ripartire in futuro per riuscire ad affermarsi con un’identità precisa.
(Church Road Records, 2023) 1. The Past We Inherit, The Future We Build (28th February 1972)
2. Managed Decline I (1st April 1988)
3. Employment (16th June 1993)
4. Matrimony (27th December 1997)
5. Raised For A World That No Longer Exists
6. Enterprise (1st November 2004)
7. Managed Decline II (2nd November 2004)