Quando pensiamo alla musica spesso pensiamo al lato più divertente di essa: ascoltiamo un disco, magari bevendoci una birra con qualche amico, la musica che accompagna le nostre scorribande in qualche stanza d’albergo, una playlist per farci andare più forte quando ci si tiene in forma correndo. Ma c’è sempre un lato nascosto, oscuro, come la Luna, come la moneta che mai resta in piedi; ed è in quel mentre, quando la musica diventa cicatrice, ricordo, paranoia, malattia e morte, che l’Arte più grande manifesta la propria grandiosità. Abituati da sempre a scapocciare, a farci grandi mimando chitarristi affermati, mulinando in aria bacchette invisibili, slappando duro e flirtando altrettanto con un pubblico che è solo nella nostra testa, ecco che diventa possibile perdere di vista l’insieme delle cose. Giorno e notte. Amore e odio. Vita e morte. Gli americani Uniform hanno capito da tempo questa lezione e con questo quinto lavoro in studio ci prendono a schiaffi, riportandoci dolorosamente alla realtà dei fatti. American Standard, questo il titolo dell’ultima fatica dei Nostri, non va tradotto. Non è il “canone americano”, bensì una marca di cessi, quelli che il cantante Michael Berdan ha imparato a conoscere bene nei suoi anni di disturbi alimentari (bulimia) e disprezzo della vita, vomitando tutto se stesso, riducendosi ad un cadavere ambulante. American Standard è questo ma non solo. Se la copertina mostra un inquietante scenario industriale, con miasmi tossici che diventano opprimenti anche senza respirarli, sono i testi che lasciano impietriti: vite devastate, sconfitte epocali, ferite che solcano le carni, cadute e ricadute e perdita di ogni velleità di rivalsa. American Standard è il fallout nucleare. Non lascia nessuna speranza.
Il paradosso insito in questo album è che le quattro tracce, tutte violentissime e di difficile sopportazione, sono praticamente perfette e meravigliose. Il noise rock è la base sulla quale vengono aggiunte robuste dosi di sludge, hardcore, post- qualsiasi cosa, a tratti pure il black più sporco e il vuoto cosmico del doom. Iniziare poi un disco con una title-track che dura ventun minuti è una scelta coraggiosa che di per sé vale un punto al giudizio finale del lavoro. Un minutaggio corposo che scivola via velocemente, altro paradosso, come un anno di vita intensa, dodici mesi, quattro stagioni: dentro c’è di tutto. Momenti sciamanici, rallentamenti lisergici, urla di disperazione suina al macello finale, disperazione tribale, musica folle che nel finale viene lasciata libera di debordare dappertutto. “This Is Not A Prayer” parte con un batteria, anzi due batterie, a mulinare colpi come una grandinata di fine estate: c’è da farsi malissimo! Mike Sharp, impegnato anche con l’elettronica, e Michael Blume vengono accompagnati dal basso spigoloso di Brad Truax (Interpol) e tutto il brano viene sorretto da questa impalcatura solidissima; una traccia che ha nel suo dinamismo il fiore all’occhiello. L’elettronica a bassa frequenza e facile fruizione apre le danze di “Clemency” lasciando presto lo spazio al riffing di Ben Greenberg che dipinge connessioni tra un deserto stoner e una serie di ecomostri industrial. La voce, sempre dilaniante, di Michael Berdan è un punto fermo lì a farci sentire inadeguati, inopportuni, inadatti. Una vita costellata di scelte sbagliate e salatissimi conti da pagare, dove la morte viene vista come la sospensione da tutte le tribolazioni. A chiudere l’album “Permanent Embrace”, che racchiude tutte le caratteristiche del sound dei Nostri comprimendo la violenza, la disperazione e l’urgenza di una richiesta di aiuto che non verrà mai ascoltata, in una manciata di minuti. Qui il noise diventa un apocalittico afflato di una bestia morente. La deriva finale, il non approdo.
Poco meno di quaranta minuti che passano velocemente, lasciando un sedimento emotivo enorme che pone i giusti accenti su ciò che dimentichiamo o che ignoriamo, salvo poi ritrovarci immersi in una pozza dalla quale è impossibile salvarsi. Disco incredibile.
(Sacred Bones Records, 2024)
1. American Standard
2. This Is Not A Prayer
3. Clemency
4. Permanent Embrace