I Varego con l’ultimo lavoro Epoch, uscito per la sempre più attenta e competente Argonauta Records, ci hanno riesumato dal nostro sonno musicale e riportato dentro agli anni Settanta, Ottanta e Novanta, con un mix magnificamente assemblato di suoni che vanno dal post rock al prog, dal dark allo sludge, donandoci una piccola gemma musicale destinata a rimanere nel tempo e sopra ad ogni cosa destinata a non passare inosservata. Abbiamo scambiato due parole con la band, cercando di capire cosa si celi dietro a questa band ed a questo eccezionale lavoro.
Chi sono i Varego?
Oggi i Varego sono quattro amici che fanno musica dalla notte dei tempi in svariate formazioni underground liguri. Nel 2009 ci siamo ritrovati dopo molto tempo e abbiamo deciso di mettere su la band, qualcosa che riuscisse a coniugare le influenze musicali di noi tutti dando vita a brani originali, che unissero al tempo stesso potenza e melodia. Da lì, con la formazione a cinque elementi, abbiamo fatto uscire il primissimo demo, l’album del 2012 e l’ep del 2013. Abbiamo collaborato con Billy Anderson (storico produttore della scena sludge/stoner), con l’artista free jazz Giovanni Sansone (Casino Royale, La Crus) e la leggendaria Jarboe (Swans). Dopodiché, a seguito di un aggiustamento di line-up, senza più il nostro bassista originale e membro fondatore, siamo ripartiti nel 2015 componendo nuovi brani che oggi costituiscono il nostro ritorno, cioè l’album Epoch.
Il vostro suono è molto vario e lo-fi, mentre le atmosfere sono orientate sullo sci-fi. Avete delle passioni particolari che influenzano il vostro modo di fare musica? Che tipo di strumentazione utilizzate per creare il vostro sound?
Lo-fi / Sci-fi, un accostamento molto interessante! E che sostanzialmente ci trova d’accordo. Ci piace particolarmente l’impatto “live” del nostro sound e abbiamo fatto il possibile per mantenerlo anche in fase di registrazione. Non abbiamo una strumentazione particolare, diciamo che tutto è improntato in stile vintage, anche come attitudine. Come band ci piace molto lavorare sodo in sala prove per trovare il sound adatto ad ogni tipo di atmosfera che vogliamo ricreare in ogni singolo pezzo. C’è un grosso studio sulle voci ad esempio, oppure anche sui fraseggi delle due chitarre, che se noti sono ben distinte anche in fase di ascolto. Le nostre influenze sono ben evidenti nelle atmosfere che permeano il nostro lavoro, si rivolgono cioè a quegli autori di fantascienza che fanno dell’universo una creatura vivente oscura e minacciosa, ma al tempo stesso permeata da un’incredibile energia e forza. Fra tutti citiamo Evangelisti, Dick e Lovecraft. Ci piace pensare ai nostri pezzi come delle piccole colonne sonore per viaggi cosmici e ancestrali.
Ci sono molti richiami a band come Depressive Age, Tiamat, Voivod, Neurosis e tutto ciò che è il primo progressive. Vi ritrovate dentro a queste band e ai generi correlati ad esse?
Assolutamente sì e ci fa molto piacere che tu abbia sentito queste influenze. Voivod e Neurosis sono stati e sono tuttora per noi dei maestri a tutto campo, i primi per le loro intricate trame musicali, i secondi per le atmosfere plumbee con cui permeano le loro canzoni. Non manca anche un certo richiamo al thrash ed è molto interessante il fatto che tu citi i Tiamat, band che ha tra le proprie influenze i Bauhaus, di cui siamo grandissimi fans.
A volte si respirano atmosfere che ci riportano indietro nel tempo, fino ad arrivare ai primi anni Settanta, ai primi vagiti del prog. È qualcosa che fa effettivamente parte del vostro DNA?
Siamo da sempre fans della cosiddetta scena di Canterbury, band come Camel, Caravan o gli stessi Soft Machine hanno una grande importanza nel nostro background musicale e penso che ad un ascolto diverso del nostro album si possano anche azzardare queste band tra i nostri riferimenti. Di quel periodo amiamo la libertà compositiva e la capacità di tramutare trame complesse nello spirito tipico della jam session, creando inarrivabili momenti psichedelici.
Pezzi come “Phantasma”, “Flying King“ e “The Cosmic Dome” appaiono come un grigio, malsano e decadente manifesto della nostra triste società. Credete che possa essere anche il mondo in cui viviamo la vostra fonte ispiratrice? Oppure cercate di isolarvi vivendone uno vostro?
È innegabile che l’epoca in cui viviamo, per nulla facile e piena di punti interrogativi, abbia su di noi una forte influenza. Ed è forse per questo motivo che nei nostri pezzi non vogliamo affrontare tematiche specifiche dei nostri tempi, ma appunto cerchiamo di costruire un nostro universo, un mondo parallelo e alternativo in cui affrontare aspetti differenti. Che ovviamente hanno una loro correlazione con gli eventi dei nostri giorni, volendone trovare un significato più nascosto.
La copertina sembra essere uscita da un vinile prog rock anni Settanta. Cosa rappresenta, chi se ne è occupato e cosa volevate rappresentare?
È stata un’intuizione geniale del nostro copertinista, Marco Castagnetto (www.zenpunkart.com), un amico e un artista che stimiamo tantissimo. L’idea era quella di raffigurare un monolite arcaico dai forti connotati cosmici e dai rimandi ancestrali, una sorta di idolo pagano. Affiancato da tue titanidi, nella fattispecie raffigurate come la Dea della Luce e la Dea del Buio, che danno vita ad una sorta di altare votivo. Tutti elementi che ritornano ciclicamente nei nostri pezzi. L’idea della colorazione e della rappresentazione in sé è poi tutta da attribuire a Marco, che lavorando al soggetto con il nostro album in sottofondo, ha voluto appunto dare risalto al nostro aspetto più prog.
Come vi siete incontrati con il vostro produttore Billy Anderson?
È un’amicizia che dura ormai da molto tempo, quando ci siamo formati ci siamo detti che avremmo dovuto osare e fare le cose per bene. L’idea era quella di rivolgersi ad un produttore che per noi ha significato tantissimo, che ha dato un’impronta indelebile a determinate band e a una determinata scena. Basti pensare a Melvins, Neurosis, Sleep, Eyehategod, e più recentemente High on Fire, Pallbearer, Suma. Così gli inviammo il nostro demo e tutto nacque in maniera molto semplice e veloce. Billy Anderson si disse disponibile a lavorare sul nostro debut e da quel momento è sempre stato il componente aggiuntivo tra le fila dei Varego.
L’album ha tutte le carte in regola per uscire dal nostro Paese, magari anche andando oltre il blasonato Roadburn. Attualmente avete progetti seri in ambito live?
Per certi versi, pur avendo alle spalle una certa gavetta e altri due lavori, questo nuovo album rappresenta per noi il nostro punto zero. Eravamo fermi da troppo tempo e con il nuovo assetto della formazione ci siamo imposti di ricominciare da capo e fare le cose con un po’ più di metodo. Paradossalmente abbiamo già ottenuto più riscontri che in precedenza quando si andava a cento all’ora per trovare concerti, contatti, eccetera. Abbiamo programmato un minitour di dieci date in Italia, di cui cinque ad oggi sono già state fatte. Ora l’obiettivo è appunto quello di suonare all’estero. È chiaro che il Roadburn sarebbe un sogno, ma al tempo stesso preferiamo dedicare il nostro tempo a pianificare ogni singolo passo per non trovarci impreparati qualora arrivasse qualche ghiotta opportunità. Qualcosa si sta muovendo, aspettiamo e vediamo.
Grazie per il vostro tempo. Salutate come meglio credete i lettori di Grind On The Road.
Intanto grazie a te e allo staff di GOTR per questa piacevole intervista, che ci ha dato l’opportunità di approfondire alcuni aspetti che ci stanno a cuore. Ascoltate il nostro album e magari se vi capita venite ai nostri concerti. Per tutte le info, ci trovate qui: https://varego.bandcamp.com