Ci sono musicisti che per il loro trascorso, i dischi pubblicati, le esibizioni live, la propria coerenza, sono da sempre nel cuore degli ascoltatori. Ogni loro mossa viene attesa e tributata con attenzione, piacere, gioia. Parliamo, tra gli altri, di Mike Patton, Zakk Wylde, Ihsahn, Phil Anselmo, Mike Portnoy e, come in questo caso, di Dave Lombardo. Lui più di altri ha incarnato il significato della parola “leggenda”, andando a scrivere pagine indelebili con la band madre, gli Slayer ovviamente, ma poi anche con altre mille realtà (Grip Inc., che trovo una band strepitosa) e innumerevoli collaborazioni (con Patton soprattutto). Un musicista che ha riscritto il linguaggio della batteria, diventando negli anni un punto di riferimento per centinaia di altri musicisti. Il nostro buon Dave arriva, on la moglie Paula, al secondo disco targato Venamoris. I coniugi si occupano di tutta la scrittura dei brani, andando a suonare di fatto tutti gli strumenti, ospitando alcuni amici in una manciata di brani (ospitate che, va detto, non vanno ad alterare il risultato finale – per me più che buono – dell’intero album) mentre non mi è chiaro – e me ne scuso – se si sono anche occupati della produzione. In ogni caso il disco viene pubblicato tramite Ipecac Recordings, del sempre presente Mike “prezzemolino” Patton.
Se nel primo disco, Drown In Emotion, la coppia andava ad esplorare lidi musicali più miti – sostanzialmente un pop rock venato di blues, jazz e country – con questo secondo lavoro, pur senza stravolgere l’essenza stessa del proprio sound, ecco che tutte le tracce abbracciano sonorità più dure, trasversali e moderne. Questi tre termini sono perfettamente esplicitati nella cover di “Animal Magnetism” (Scorpions); partendo da un brano che già all’epoca destò un certo scalpore per la sua sfrontata sperimentazione, ecco che i Lombardo lo trasformano in una hit Deftonesiana, con la drammaturgia tipica della band di Sacramento. Un brano epico, l’originale, qui reso ancor più bello ed emozionante (nota: la sei corde di Gary Holt rinvigorisce il riffing originario di Rudolf Schenker). Nel resto dell’album i Venamoris non si risparmiano, andando a cucire un abito perfetto per la notte, per un ambiente fumoso, con un buon livello di alcol, dai colori scuri, molto cinematografico. “Stay With Me” apre l’album con Trevor Dunn che suona il suo contrabbasso in punta di piedi; c’è una profonda delicatezza, gli archi di sottofondo conferiscono un sapore d’altri tempi e Paula recita una linea vocale leggiadra. Un brano che arriva comodamente dagli anni Sessanta, risultando ugualmente fresco e attuale. La seguente “In the Shadows” è rarefatta, elettronica scarna, il drumming quasi timido, la voce di Paula è la vera protagonista. Un brano anni Ottanta, perfetto per un film – Cronenberg apprezzerebbe appieno – e menzione speciale per l’utilizzo, quasi sacrale, delle backing vocals. “Truth” ricorda i Morcheeba ma senza un motivo preciso, è più un aroma che viene a solleticare la memoria. Probabile che Paula abbia colori che rimandano alla memoria l’ugola delicata di Skye Edwards. Di certo è che l’ossatura del brano rimanda alla black music, alla scena di Bristol, fino alla raffinatezza di Billy Howerdel. Questi punti cardinali possiamo ritrovarli anche in “Stain of Pain”, con il basso di Roberto “Ra” Díaz (Suicidal Tendencies, KoRn) che contribuisce a disegnare scenari particolari: siamo in un club malfamato, fumo dappertutto, gangster e femme fatale, torbidi intrecci amorosi e crimini spietati. La presenza di Alex Skolnick (qui ma anche in “Burnt Paper”, una nenia, un carillon, un suono leggiadro che è versatilità) non aumenta la dose di testosterone preferendo sottolineare la raffinatezza di un songwriting che, come detto in apertura, è già ottimo di suo. A metà disco arriva il brano più bello: “Spiderweb”. Un titolo, un monito, una promessa mantenuta. Un sound che seduce, sfiora la pelle, rizza i peli, scherza con gli ormoni. Brividi sulla schiena, vino rosso, luna piena, una casa isolata in aperta campagna, fuori il mondo che brucia, dentro la redenzione o, più probabilmente, la perdizione finale. L’ombra lunga di Mike Patton si allunga su “Holding on to Nothing”, donando il brano di una follia che non è mai fine a se stessa bensì ben controllata, decodificando un linguaggio complesso in qualcosa di più accessibile. “Numb”, la traccia più moderna col suo melting pot di nu metal ed electropop, filtrato attraverso un caleidoscopio alternative rock che mira a scalare le classifiche, e la title-track – noise, elettronica, ancora echi dei Morcheeba – vanno a chiudere il comeback discografico di questo progetto, artistico e di vita, che merita tutte le attenzioni del caso.
Trovarsi al cospetto di un musicista come Dave Lombardo, il quale potrebbe benissimo galleggiare su quanto fatto in passato, che continua a mettersi in discussione, credo sia un tesoro dal quale tutti possiamo, e dobbiamo, attingere a piene mani. To Cross or To Burn è chiaramente un album lontano dai canoni estremi. C’è pochissimo metal, quasi nessun ammiccamento alla violenza, gli strappi sono rarissimi e sempre centrati. Però rimane un disco da ascoltare, da amare, da consumare.
(Ipecac Recordings, 2025)
1. Stay With Me
2. In the Shadows
3. Truth
4. Stain of Pain
5. Spiderweb
6. Burnt Paper
7. Holding on to Nothing
8. Animal Magnetism
9. Numb
10. To Cross or To Burn