Descrivere la decima edizione del Venezia Hardcore come un successo sarebbe riduttivo. L’evento, nato inizialmente per promuovere e supportare la scena locale, è diventato col passare degli anni un punto di riferimento in Italia e non solo, e quanto successo in questi due giorni ne ha confermato la caratura: ormai il Venezia Hardcore è un’istituzione. Fantastica la cornice di pubblico che ha caratterizzato l’evento, con un coinvolgimento assoluto dal primo all’ultimo gruppo, così come l’organizzazione, impeccabile nella gestione dell’alternarsi di concerti tra i due palchi, senza mai alcun ritardo, e in generale per quanto riguarda tutti gli aspetti inerenti al festival.
A cura di Antonio Sechi e Jacopo Silvestri. Foto di Anais Piccoli
19/05/2023
I Greaseball, combo patavino, hanno avuto l’onere di cominciare i giochi e non solo dell’Open Space, ma del festival tutto, considerando che i Güerra sono stati costretti dalle pessime condizioni in cui si è ritrovata la Romagna a dare forfait; ma è andata bene. La prima esibizione è stata un antipasto più che appetitoso. L’Hardcore sanguigno dei padovani ha acceso motori e spiriti della gente già numerosa. Ed è in un momento di gaudio che inizia una efficacissima “Mind Yo Biz”. Qui si può considerare effettivamente iniziato il Venezia Hardcore 2023.
Occupati con la promozione del recentemente pubblicato Is It Time To Fly?, i Diplomatics sono la prima band che si è esibita sul secondo palco dell’evento, il Nite Park, e il loro concerto si è distinto per un coinvolgimento genuino e spensierato. Il punk proposto dal sestetto è eterogeneo nelle sue influenze, che spaziano dal rock’n’roll al garage, senza tralasciare tocchi blues, all’insegna di un sound accattivante che dal vivo si esprime al meglio. I Nostri si divertono e soprattutto fanno divertire, sfruttando al meglio il tempo a loro disposizione e iniziando a scaldare il pubblico prima che la serata si sposti verso sonorità tendenzialmente più aggressive.
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Diplomatics
I ferraresi Rough Touch hanno messo a ferro e fuoco l’Open Space e gli animi dei sempre più numerosi appassionati sotto il palco con una performance vibrante a dir poco. Questo crossover selvaggio di hardcore e thrash metal funziona, convince e Ziro (il cantante) è stato fenomenale con il suo timbro ottantiano e il suo stile molto à-la John Tardy.
Dopo aver lasciato nettamente il segno nella scena nostrana con due album rilasciati tra 2008 e 2012 i The End of Six Thousand Years non hanno fatto parlare molto di loro, fino a questo inaspettato ritorno con un EP granitico e questo concerto. L’attesa per l’esibizione del quintetto è molta, al punto che già qualche minuto prima del suo inizio il pubblico è accorso in gran numero nella sala. Quanto messo in atto dai TEOSTY non lascia alcun dubbio sul motivo per cui sono considerati una perla nascosta dell’underground nostrano: il loro connubio tra metal estremo e hardcore è monolitico e travolgente sia con le trame più oscure del nuovo EP che con i pezzi dei primi due dischi. L’assenza prolungata dai palchi non si fa sentire particolarmente, se non per un cantato che ne risente senza gravare particolarmente sulla resa generale, e in ogni caso i Nostri si dimostrano carichi e motivati per questo concerto, e ciò fa davvero piacere. Ritorno molto gradito quello della formazione, e se il buongiorno si vede dal mattino sarà molto interessante continuare a seguire il quintetto anche dopo questo concerto.
Pronti all’assalto frontale sono stati i Caged, freschi della recente uscita di A Prison Built To Slowly Die. La carica metalcore dei Bolognesi non è andata dispersa, anzi, hanno saputo andar dritti senza lesinare mai regalando momenti di grande soddisfazione per chi è in confidenza con la loro musica, uno di questi momenti senza dubbio è stato “The Death Upon The Sea”, vero e proprio inno della band in grado di scatenare sempre l’adeguato pogo.
Gli Implore, formazione divisa tra Austria e Germania, sono i primi ospiti internazionali del festival e continuano la successione di performance tritaossa che sta andando in atto. Si sale ancora di più con l’intensità grazie al loro deathgrind che per una buona mezz’ora non accenna a calmarsi per mezzo secondo, ma a testa bassa travolge qualsiasi cosa gli si pari davanti. Il quartetto ormai è diventato un nome abbastanza di rilievo per il genere, con un’attività live che negli ultimi anni è stata a dir poco assidua, e la loro esperienza fa il suo sporco lavoro, vista la capacità di sfruttare al meglio ogni singolo attimo. Al resto, ci pensano i loro brani e i riff impetuosi, che trovano in sede live il contesto perfetto per imporsi con autorità e sfrontatezza.
- Implore prima…
- …e durante il concerto
Degli eroi dei nostri tempi montano sul palco e lo fanno con le loro solite intenzioni, le migliori. E allora in mezz’ora c’è tutto il tempo di fomentare il pubblico con pezzi come “Rivolta”, “Leggenda” e l’immancabile “I Nostri Anni”. Ai Plakkaggio si può dire tutto tranne che non sanno divertire il pubblico affezionato che come loro ha un attitudine e un’appartenenza punk senza dubbio, ma il metal nel cuore. Un altro capitolo di fuoco e sudore di una storia durata due giorni.
Cosa ci fa una formazione post-industrial in un festival hardcore? Regala una delle più grandi sorprese dell’evento. Dopo le mazzate in faccia dei precedenti concerti, con gli statunitensi HIDE si volta decisamente pagina, facendosi trasportare in uno scenario profondamente angosciante. Il duo propone un sound che alterna delle fondamenta accattivanti e coinvolgenti a elementi disturbanti, tra delle basi elettroniche mai monotone e un cantato magnetico con la sua spregiudicatezza. La cantante del progetto ruba la scena non solo per le incisive parti vocali, ma anche per le sue movenze dall’espressività teatrale. Il teatro in questione, però, è macabro e surreale, e lo spettatore difficilmente non rimane catturato da questo concentrato di ansia e tensione, che si può interpretare come una sorta di attacco di panico tradotto in musica.
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Come chiudere il primo glorioso di due giorni di festa e unità? Con gli iberici Arma X. La loro è stata una delle performance più brutali dato il loro stile composito di hardcore e beatdown. La voce di Leo dal vivo fa tremare la struttura del palco e i pezzi di Violento Ritual, se su disco sono massacranti, dal vivo sfibrano i pogatori. L’atmosfera stessa dell’Open Space diventata ormai quasi irrespirabile dato l’odore di sudore è la dimostrazione che questi ragazzi hanno fatto bene il loro lavoro, un live all’ennesima potenza. Gli Arma X portano gli astanti del primo giorno alla fine della loro energia, ma non è che un piacere.
20/05/2023
I Jorelia sono stati una delle più significative sorprese. Band giovanissima dedita a un hardcore che deve molto tanto al nu metal quanto al deathcore, questi ragazzi sono fenomenali in sede live: i pezzi sono stato eseguiti con una precisione e una pulizia a dir poco disarmanti, ma questo non ha tolto potenza alla proposta, au contraire, il muro di suono percepito da noi sotto il palco era palpabile e percussivo. Inutile dirlo, è stato bellissimo vedere gente moshare come si deve, pugni a rotazione e calci volanti hanno fenduto l’aria del Nite Park. Non si poteva chiedere un inizio migliore.
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Jorelia
Ad aprire le danze anche sull’Open Space tocca agli Stegosauro, con la sala che si riempie molto velocemente e conseguentemente anche il coinvolgimento del pubblico è tutt’altro che timido. La formazione vicentina, fresca di pubblicazione dell’EP d’esordio, propone uno stile che unisce le sensazioni nostalgiche del midwest emo con i riff accattivanti dai tempi irregolari del math rock, e la resa dal vivo dei brani mette in disparte gli accenni malinconici per far prevalere l’energia e il coinvolgimento. Trame di chitarra cervellotiche ma non per questo difficili da digerire si susseguono senza esitazione alcuna, mentre arrivano i primi stage dive, come quello dello stesso cantante e chitarrista della band.
Che il loro posizionamento come uno dei primi gruppi a suonare nel corso della giornata non illuda: gli If I Die Today sono un gruppo ormai esperto, e lo si può capire sia dal loro sound, che richiama il metalcore/post-hardcore dei primi gruppi storici, che dalla loro sicurezza sul palco. Il gruppo piemontese nel corso della propria carriera ha virato da un hardcore melodico a un post-hardcore più granitico, e non a caso i brani proposti sono tutti presi dai due loro lavori più recenti, Cursed e The Abyss in Silence. Le canzoni suonate sono come un grido viscerale a pieni polmoni, e tra passaggi spietati e altri più oscuri si impongono con irruenza.
L’esplorazione dei vari sottogeneri dell’hardcore e affini, dopo esser passata per territori veementi e altri più nostalgici, torna su coordinate più spensierate e coinvolgenti, e lo fa con l’oi! dei genoani Stiglitz. Il concerto del quintetto è un crescendo che man mano si fa apprezzare sempre di più, con trame sia strumentali che vocali abili nel rimanere in testa. In seguito c’è giusto il tempo per una rapida occhiata al concerto dei Blair, formazione romana dedita a un hardcore roccioso che accetta ben pochi compromessi. La loro proposta trapela del potenziale, però a causa di alcune interviste che ci tengono occupati per diverso tempo riusciamo a seguirla solo per un paio di brani, così come siamo impossibilitati ad assistere ad alcuni concerti nel corso del pomeriggio; il programma fitto dell’evento non transige (com’è giusto che sia).
- Redazione GOTR alle prese con le interviste (TEOSTY)
- Redazione GOTR alle prese con le interviste (Plakkaggio)
Eccola, una band fra le più longeve attualmente esistenti per quanto riguarda il panorama hardcore italico. Gli Straight Opposition forse hanno una certa età, ma contano su una forza di volontà che sembra ancora non crollare. Di tutto il bill del secondo giorno questa è stata una delle più violente esibizioni per quanto riguarda lo stile proposto. La velocità e la veemenza metallica della band abruzzese non è stata seconda a nessuno. La band ha deliziato un infervorato pubblico con pezzi che hanno toccato tutta la propria storia, donando uno show potente e completo, per i vecchi fan e anche per i nuovi.
Anche gli Slug Gore una grande sorpresa; molto probabilmente fra il pubblico c’erano ragazzi, hardcore kids che già avevano visto dal vivo questa band durante il breve tour di cui ha fatto parte questa data, ma per me sono stati folgoranti. Sarà stato complice l’averli intervistati e scoperti essere delle persone d’oro, ma dal vivo, e questo è tutt’altro che soggettivo, il loro grindcore marcio e colmo di riferimenti al cinema gore gasa fortemente. Possenti e perfetti, hanno dato vita a una mezz’ora di musica malandata in cui non c’era spazio per respirare. Si vedeva subito che sono ragazzi che hanno voglia di divertirsi, di divertire e che hanno la quantità giusta di dedizione per quello che fanno.
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Slug Gore
Tra groove metal, hardcore più spietato e qualsiasi cosa si possa imporre con irruenza, Silver e 3ND7R non hanno lasciato alcun prigioniero. Le due formazioni padovane condividono sia alcuni membri che delle sonorità tutto sommato affini, evitando così variazioni di rotta brusche nel momento in cui si danno il cambio sul palco. Per entrambi la violenza è un elemento centrale del proprio sound, nel caso dei Silver con un impatto nudo e crudo, mentre i 3ND7R implementano anche una natura irregolare e scabrosa che non passa inosservata.
Anomali sotto l’aspetto stilistico, ma non è stato certo un problema perché i Quercia hanno retto alla perfezione il palco e dato il massimo di loro stessi. Molti nel pubblico conoscevano a menadito i pezzi e li gridavano a pieni polmoni. Alla fine il loro emo dall’impatto fortissimo non è stato percepito come alieno al contesto del festival. Sul palco abbiamo visto una band chiaramente stanca nel fisico dato il lungo viaggio fatto il giorno stesso, ma non nello spirito e tanto è bastato, se tutte le band stanche nel fisico portassero a casa un’esibizione così intensa e sentita sarebbero a cavallo.
Un’altra esibizione cantata a squarciagola dal pubblico è quella degli Ojne, con i presenti che per poco non hanno passato più tempo a urlare al microfono rispetto al cantante del gruppo, ma è anche questo il bello di alcuni concerti. La band da Milano è tra le maggiori esponenti dello screamo made in Italy, e racchiude nel proprio sound tutti gli elementi tipici del genere, dagli arpeggi più emotivi alle ripartenze più vigorose. La loro esibizione è breve ma intensa, e prende a piene mani da Prima Che Tutto Bruci, assoluto cavallo di battaglia del quintetto, senza comunque dimenticare i lavori precedenti, da cui viene suonata “Da Qualche Parte, Nel Momento Giusto”. Tra l’ineccepibile esecuzione dei pezzi e la risposta di un pubblico accalcato all’inverosimile sotto il palco è difficile non farsi coinvolgere emotivamente.
Se qualche mese fa mi avessero parlato della possibilità di assistere al primo concerto dei Raein dopo sette anni di pausa, con un set tra l’altro focalizzato su Il n’y a pas de orchestre, lavoro seminale per la scena screamo italiana e non solo, probabilmente non ci avrei creduto; invece è tutto vero. Per molti è stato surreale vedere la formazione romagnola tornare a suonare dal vivo, e l’aspetto ancora migliore è che anche mettendo da parte il legame affettivo con le loro composizioni, il concerto è stato un assoluto trionfo, come ad annullare alcun ipotetico effetto della prolungata pausa sulla band. I cinque membri sono pieni di adrenalina, lo dimostrano e offrono uno show praticamente perfetto per energia e atmosfera generale. I Nostri, inoltre, non si limitano ai diversi pezzi estratti dal suddetto album, ma dedicano la seconda metà del concerto ad altro materiale come “Nirvana” e “2 di 6”, con la sostanza che non cambia: l’esecuzione rimane frenetica ed emotiva, così come la risposta del pubblico.
Sempre parlando di realtà fondamentali per l’underground nostrano, i The Secret non sono da meno, anzi. Con loro si cambia chiaramente genere, passando a un blackened hardcore nella sua forma più imponente e malvagia, ma la qualità e il valore dell’esibizione non mutano. Anche nel caso della formazione triestina è il primo concerto da un bel po’ di tempo a questa parte, e a rendere l’occasione ancora più speciale è l’esecuzione per intero di tutto il grandioso Solve Et Coagula. La lunga introduzione “Cross Builder” si impone ossessiva e sempre più carica di tensione, fino a quando non esplode in “Death Alive”, e tutti i successivi brani che si confermano altrettanto massicci. Il concerto del quartetto si vive tutto d’un fiato, tra atmosfere anguste e assalti travolgenti. Niente male per essere il loro primo live dal 2020 a oggi, ma dopotutto da parte loro non ci si può aspettare nulla che non sia distruzione e perfidia.
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The Secret
Attivi da meno di un decennio, eppure già tra gli headliner di un evento di questa caratura: la loro rapida crescita dice molto sugli High Vis, che si sono distinti grazie a un miscuglio di generi che coinvolge post-punk, alternative rock e altro ancora unendoli a un’attitudine hardcore. Le sonorità dei brani suonati sono tanto orecchiabili quanto introspettive in certi momenti, ma dal vivo prevale la spensieratezza. Gli inglesi prendono a piene mani da entrambi i loro album, e la compresenza di svariati fattori nel loro sound non risulta mai inefficace. Purtroppo, sempre per la questione interviste, riusciamo a seguire solo metà del loro concerto, e ben poco anche del seguente live dei Bongzilla, di cui recuperiamo giusto un paio di canzoni in chiusura, con cui gli statunitensi si dimostrano maestri dello stoner/sludge da trame ipnotiche. Finisce così una full immersion di due giorni alquanto appagante e soddisfacente, che ha saputo intrattenere, far saltare, emozionare e ammirare una lunga serie di band valide, in un contesto fantastico, con un pubblico sempre coinvolto e un’organizzazione a cui non si può eccepire nulla.