Quando si parla degli svedesi Viagra Boys si parla di ottima musica deliberatamente sporca, grezza, cafona. La dimensione migliore per la band di Sebastian Murphy è quella live, dove danno davvero la pista a tantissimi altri colleghi. Come tiene il palco il leader dei Nostri, pochi altri al mondo; sboccato, irriverente, coreografico, sempre oltre le righe. Quasi fosse una maschera, un aggredire per non essere aggredito; e forse è veramente così la reale natura di una band che, testi alla mano, offre una profondità di animo e coscienza che spalanca appieno la mente di chi ascolta. Questo nuovo album, il quarto, ci mostra un gruppo oramai rodato, un virus che entra nel sistema e cerca di smontarlo al suo interno. Musicalmente la matrice punk, – che sia new, -post o alternative poco cambia – è sempre quella. Però questa partita di canzoni ci mostra la band in una veste più melodica, quasi gentile, un piccolo downgrade sul versante dell’irruenza, ben documentata nei precedenti capitoli discografici. Come in una sorta di maturità che sfuma dolcemente nella vecchiaia, la band del nord Europa pare volersi aprire al pubblico mostrando una piccola parte di loro, celata fino ad ora, mantenendo sempre i vestiti stracciati, un po’ sporchi e vissuti, i tatuaggi che raccontano di notti alquanto movimentate e una faccia, collegiale, che ha visto tramonti e albe senza soluzione di continuità.
Il video di “Man Made of Flesh” dimostra che tutto cambia nei Viagra Boys senza mai cambiare nulla in realtà, metafora del mondo che ci circonda, una Polaroid fresca di stampa che cola oltre i bordi tutta la superficialità che nulla ha capito – e quindi da spartire – di Orwell, di Warhol, dei Seventies, delle fabbriche grigie e del sudore misto sangue, di tutti gli anni sparati in technicolor, di social media che tutto hanno tranne che di “sociale”. Siamo tutti zombie in cerca di cibo, senza accorgerci che ci stiamo lentamente mangiando da soli. I Viagra Boys sono la punta dell’iceberg, il più grande che sia mai esistito, e noi stronzi tutti a sbatterci contro come dei Titanic (stra)fatti di insicurezze latenti e certezze fetenti, roba che è già tanto possa galleggiare, un po’ come la merda, insomma. E Murphy riesce a modulare la sua voce, che è fondamentalmente una bella voce, in sfumature che giocano con l’ubriacatura molesta, con linee melodiche sghembe, sempre molto seducenti, che c’è sempre un fascino per chi è maledetto fino al midollo, riversando bile acidissima con stoccate sempre a segno nei suoi testi al vetriolo. Dissacranti e veritieri, si ride per non piangere, poi si piange comunque, alla fine si rimane in silenzio, la lingua che assaggia il sale delle lacrime, poi si ricomincia. Un quarto album che è un braccio nel culo, siamo sempre il pupazzo che viene mosso da altri, un ventriloquo che tossisce, rutta, vomita grumi di sangue e dentro quella poltiglia ci siamo noi, è la palla di vetro che regaliamo a Natale, la capovolgiamo e tutto ricomincia, con una spruzzata di calore umano che scema rapidamente. Ed è forse per questo motivo che la band chiude il disco con una ballad su tasti d’avorio, un cucciolo di cane che deforma ogni singolo volto in un sorriso stupido, vuoto, un ictus di gioia collettiva, con Murphy – sempre lui! questo bastardo! – claudicante, che si sorregge malamente con dei fiati grattati via come croste di eroinomani.
Un piccolo gioiello questo viagr aboys, un altro tassello di un mosaico ancora lungi dall’essere terminato.
(Shrimptech Enterprises, 2025)
1. Man Made of Meat
2. The Bog Body
3. Uno II
4. Pyramid of Health
5. Dirty Boyz
6. Medicine for Horses
7. Waterboy
8. Store Policy
9. You N33d Me
10. Best In Show pt. IV
11. River King