VIDEO NASTY è un termine coniato in Inghilterra negli anni 80 dal comitato censura per indicare i film da VHS che avevano un contenuto violento o comunque mal visto.
Questa nuova rubrica parla di cinema ed è a cura di Carmelo Garraffo ed Emiliano Zambon.
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MADS di David Moreau
Vi ricordate quando nei primi anni duemila ci fu quel periodo un cui uscirono tutta una serie di horror francesi? Gli anni di Martyrs e À l’intérieur (non li avete visti? recuperateli subito!). David Moreau fu uno dei primi a uscire fuori con Them nel 2006, un film che avrebbe potuto fare causa all’americano The Strangers perché, insomma, gli copiava diverse idee. È stato uno dei primi home invasion codificati come furono codificati in quel periodo lì e come ancora oggi li intendiamo: gente isolata dentro una casa e gente poco raccomandabile fuori che vuole entrare con le peggiori intenzioni. Era un bel film e il nostro David si fece notare subito sbarcando così ad Hollywood due anni dopo a girare un remake orrendo di The Eye con Jessica Alba, e la sua carriera finì lì. In realtà tornò in Francia con le pive nel sacco e fece altre cose fuori dal genere ma nessuno le vide mai. Torna con un horror nel 2024 e se lo chiedete a me lo fà con un buon film che reinventa un sottogenere in modo intelligente (non dico quale per non rovinarvi la sorpresa). Usa una ruffianata galattica come il “tutto in un unico piano sequenza” e se è vero che poteva benissimo essere girato senza la cosa non da troppo fastidio, anzi, da valore riuscendo dare l’idea del “tutto in una notte”. Il film inizia parlando di Roman che mentre è in giro spensierato sulla macchina del padre fa un incontro/scontro che gli cambierà la serata o, più probabilmente, la vita. Inutile dire di più senza fare troppo spoiler, sicuramente buona visione.
recensione di Carmelo Garraffo
HELLBOY: THE CROOKED MAN di Brian Taylor
Sono un lettore di fumetti e di conseguenza di Hellboy di Mike Mignola e ammetto che la prima trasposizione al cinema di Guillermo Del Toro mi deluse un po’. Il motivo? Il fumetto era ed è un un altra cosa. Non che fosse un brutto film, anzi, col secondo poi si volava molto in alto, ma era una versione colorata e divertente rispetto al fumetto che ha un target leggermente più adulto e oscuro. Questo ultimo film di Hellboy, il quarto della saga, è il primo film che si avvicina ai toni di quello che è il fumetto nonostante di difetti ne abbia diversi, in primis un budget molto basso. Brian Taylor è uno di quei registi che tutti ci aspettavamo diventasse enorme (insieme al suo compare Mark Neveldine) per via del suo/loro CRANK che ridefinì un certo tipo di action lanciando nell’olimpo la carriera di Jason Statham. La verità è che in alto non c’è mai arrivato infilando in carriera film imperfetti ma sempre ben girati e con uno stile cinetico personalissimo. Il nuovo Hellboy prende quello stile veloce e particolare mischiandolo con Evil Dead di Raimi ed elementi folk horror. Ne esce un prodotto strano e particolare, lontano dal tiro commerciale che avevano i film precedenti ma sicuramente con una personalità tutta sua. A leggerne in giro a molti non è proprio piaciuto e io non sono molto d’accordo perché il film di cose buone ne ha molte se si ha voglia di andare oltre. Io mi ci sono molto divertito dall’inizio alla fine nonostante una CGI un po’ così e alcune parti un po’ ripetitive ma hey, cavolo, ne vedrei un altro domani fatto in questo modo. In più il film è fruibilissimo anche da solo, senza che siate obbligati a recuperare i precedenti. Dategli una possibilità.
recensione di Carmelo Garraffo.
THE SUBSTANCE di Coralie Fargeat
Non è facile scrivere qualcosa su The Substance, uno dei film più chiacchierati del momento, soprattutto cercando di dire qualcosa di diverso da altri visto quanto se ne parla dentro e fuori dalla rete, dentro e fuori i circoli di chi mangia molto cinema e di chi, invece, lo fruisce in modo più intrattenente. Diciamo che The Substance è un body horror che ti compra e attira da principio con il suo modo iper estetizzato e il suo cast, Demi Moore e Margaret Qualley in grande spolvero, per poi vomitarci letteralmente sopra nel modo più positivo del termine. Parla del corpo femminile e di come noi e la società lo viviamo con tutte le implicazioni sociali del caso. Non vorrei fare troppo spoiler sulla trama in sé, ma quello che posso dire è che ci sono due tipologie di spettatori per questo film: quelli che vanno a vederlo con la mente vergine riguardo al cinema che tratta e cita, e quelli che il cinema di genere, dalla A allo Schifo, lo conoscono bene. I primi si ritroveranno davanti sicuramente qualcosa di mai visto grazie all’estetica e al marketing che li ha portati a fare un’esperienza cinematografica che difficilmente avrebbero fatto con coscienza. Vi è mai capitato che qualche amico o parente, anche amante di un certo cinema, vi dica “ma come fai a guardare quella roba?”. Ecco, The Substance è un film che riesce a portarti dove vuole lui per poi urlarti addosso “adesso questa roba te la becchi tutta e potrebbe persino piacerti”. Molti potrebbero scoprire che quella era roba buona mentre altri ne usciranno schifati. Per tutti gli altri, quelli che, come dicevo, un certo cinema lo conoscono, è un film che costruisce il proprio essere in modo estremamente citazionistico, come se prendesse tutto un certo cinema per masticarlo e rigurgitarlo in faccia allo spettatore. Un body horror anche nella struttura, quindi. Personalmente non sono di quelli che grida al capolavoro, pur avendolo apprezzato moderatamente. Nulla da dirgli ma essendo per l’appunto un “Frankenstein” cinematografico (che riesce a costruirsi una sua forma e grammatica) mi è sembrato fin troppo derivativo per via del mio background. Non c’è nulla dentro The Substance che non abbia in realtà già visto altrove ma sicuramente, per chi non è appassionato del genere, il film lo riempirà con una serie di scene una più inaspettata dell’altra, e per chi è appassionato, magari, tutto questo iper citazionismo divertirà da matti. In qualsiasi modo la pensiate è un film che va visto, anche solo per discuterne con chiunque.
recensione di Carmelo Garraffo
IT’S WHAT’S INSIDE di Greg Jardin
“Cosa faresti se ti venisse data l’occasione di scambiarti il corpo con qualcun altro?” . È questa l’idea su cui ruota attorno questo nuovo film di fantascienza cervellotica sbarcato su Netflix. Ci aggiungi una rimpatriata di ex studenti chiusi in una casa e il gioco è fatto. Non è malvagio questo It’s What’s Inside e sicuramente è capace di intrattenere con piacere, più di molti altri film che la piattaforma Netflix ci ha proposto negli ultimi tempi. Non è esente da qualche difetto, sia chiaro, sopratutto in scrittura, perché quando si tocca la fantascienza e si parte da regole messe in campo come premessa la prima è rispettarle. Questo film non è che le rispetti del tutto, o meglio, da l’impressione di non rispettarle per poi tirarle fuori in seguito come colpo di scena. Questo vuol dire che come alcuni prodotti di questo genere ogni tanto le regole del gioco vengono ignorate o tirate in ballo a seconda di dove la storia vuole portarti. Per esempio mii è capitato di ritrovarmi a pensare “secondo le regole però dovrebbe succedere questo” per poi vederlo succedere solo successivamente perché serviva alla trama. Poco male però, roba de fare le pulci, ma quando una trama è basata sull’unire i puntini per ricostruire cosa stia effettivamente succedendo, e di conseguenza divertirsi a ipotizzare cosa potrebbe succedere, è normale notare cose che solitamente non noteresti. Il film in questione però non vuole essere una storia per gente che si deve segnare tutto su un foglio di carta per comprenderla. Non siamo (per fortuna) dalle parti di Dark (la serie), rimanendo in casa Netflix, e quindi rimarco qualche difetto solo per far capire che ci troviamo davanti a qualcosa di più leggero che usa il pretesto della fantascienza per parlare di altro, di scambi di vite e, sopratutto, di rimpianti per come si è vissuto. Non male per qualcosa che si presenta come divertente ma con un pizzico di intelligenza, no? Se siete fan del genere, ma anche se non lo siete, vi consiglio di darci un occhio. Non vi stravolgerà la vita ma vi farà passare sicuramente una serata piacevole.
recensione di Carmelo Garraffo
CARNIVAL OF SOULS di Herk Harvey
Oltre a scrivervi di film nuovi penso sia giusto in questa rubrica anche consigliarvi qualche vecchio recupero un po’ fuori dal giro dei titoli più blasonati. Questo mese mi sento di consigliarvi Carnival of Souls, un classico del 1962 che forse non tutti conoscono. Se dovessi pensare ad un aggettivo per descriverlo, più che il classico cult (o cvlt, se vi piace il black metal) “Seminale” è l’aggettivo che più userei visto quello che ha ispirato direttamente o indirettamente nel cinema che lo ha succeduto. Lo è perché ricorda diversi capolavori girati parecchi anni dopo, come se questo piccolo film a basso costo avesse strisciato piano piano sotto la pelle di molti registi, o futuri tali, tracciando un solco. David Lynch e George A. Romero di sicuro ne sanno qualcosa. Non è difficile scorgere al proprio interno un certo tipo di linguaggio che ritroveremo nella futura filmografia Lynchiana, così come una certa estetica dello zombie romeriano, che vedremo al cinema solo alcuni anni dopo. Guardandolo oggi si riesce a scorgere la stranezza di un film che sicuramente deve aver colpito molto un certo pubblico dell’epoca, o perlomeno i pochi che andarono a vederlo. SI, perché non stiamo parlando di una grossa produzione hollywoodiana ma di un film a basso budget prodotto, scritto e diretto dallo stesso regista, che all’epoca venne bollato dalla critica come B Movie. Solo il passaparola e il suo essere citato da molti lo ha portato fino a noi dandogli il lustro che si è sempre meritato. Se siete di quelli che amano andare a recuperare quei film che in un modo o nell’altro hanno fatto la storia di un certo cinema, quello magari più laterale e meno commerciale, allora non potete perdervi questo piccolo e strano film. Come dicevo all’inizio, Seminale.
recensione di Carmelo Garraffo
A DIFFERENT MAN di Aaron Schimberg
Immagina di svegliarti una mattina, piazzarti davanti allo specchio e letteralmente rimuovere qualsiasi parte del tuo aspetto che non ti piace. Come cambierebbe la tua vita? Questo è il punto di partenza del buon esordio di Aaron Schimberg, con un trio stellare composto da Sebastian Stan, Adam Pearson e Renate Reinsve.
Il titolo stesso si presta a molteplici interpretazioni. Chi (e cosa) è “diverso”? L’originale, che soffre di neurofibromatosi, una malattia genetica che causa l’insorgere di orrifici tumori al volto? O l’uomo che diventa quando esce da quella pelle? “Diverso” rispetto agli altri, o da se stesso? Presentato inizialmente come un ritratto ironico dell’isolamento e della disabilità, il film di Schimberg si ritrova presto a degenerare in un psicodramma nero come la pece con incidentali incursioni nel body horror quando il protagonista inizia un trattamento sperimentale che promette di alleviarlo dalla sua condizione. Senza mai scadere in scontati aforismi, l’area tematica si sposta su alcuni puntuali meta-accenni su cosa significhi per un attore ritrarre e incarnare autenticamente la disabilità: un riconoscimento intrinseco delle potenziali insidie del film e di come le storie sulla disabilità raccontate da creativi normodotati rischino di mostrare il fianco a pietismo e condiscendenza. Cosa sta cercando di dire in definitiva Schimberg? Lancia alcune domande sull’autenticità nella vita e nell’arte, per non parlare di come il nostro aspetto traccia il nostro destino, ma senza facili risposte, preferisce piuttosto destabilizzare con sviluppi inaspettati. Una delle migliori esplorazioni dell’identità dell’anno, una parabola sfuggente di orrori dismorfici che mette a dura prova i nostri pregiudizi e le nostre delusioni.
recensione di Emiliano Zambon
TERRIFIER 3 di Damien Leone
Si apre con quella che sarà la sequenza migliore del film, mentre segue una bambina nel corso di una notte a pochi giorni da Natale convinta che Babbo Natale sia giunto in anticipo a casa sua, salvo poi rendersi conto che l’uomo nel salotto del suo caloroso e rassicurante focolare domestico è in realtà Art (e qui, se vi disturba la violenza contro i bambini, suggerisco di cambiare canale). Peccato dunque il tono dell’inizio non si traduca altrettanto bene nel resto del film. Il numero di corpi da macello sarà anche più generoso e Art più creativo del solito, ma Terrifier 3 inizia presto a mostrare la corda a causa della solita incomprensibile durata di oltre due ore per quello che rimane fondamentalmente un grindhouse medio, con una trama esile come carta velina. La mattanza sarà anche particolarmente estrema (due morti in particolare mi hanno divertito parecchio: una riguarda i topi e l’altra si svolge sotto una doccia) ma il terzo capitolo della fortunata saga di Damien Leone rappresenta un passo indietro rispetto al secondo che almeno tentava di abbozzare una backstory e dare un minimo di spessore alla vicenda, imbottito com’è di personaggi monotoni e pretestuosi. Art come Babbo Natale è ok, ma questo è tutto. Il successo della saga è un trionfo per il cinema indipendente, sono felice che questi film esistano e che Art sia diventato una nuova icona horror, ma Terrifier 3 è forse il peggiore del pacchetto.
recensione di Emiliano Zambon
WOMAN OF THE HOUR di Anna Kendrick
Tesissimo thriller true crime sulle azioni di un famigerato serial killer che ha partecipato (e vinto) a un dating game televisivo con alle spalle già un numero imprecisato di femminicidi e una collezione di segnalazioni e denunce (ignorate), e usa questo scenario agghiacciante per interrogarsi sulla misoginia e il sessismo pervasivi degli anni ‘70 – e, purtroppo, su quanto poco a oggi sia cambiato. Occasionalmente barcolla un po’ nel bilanciare la critica femminista con i cliché del thriller tradizionale, ma Anna Kendrick avvolge tutto in calde tonalità d’epoca e paesaggi sonori intrisi di cicale stando ben attenta a non glamourizzare la violenza. Non c’è brutalità gratuita, ma sottili suggestioni fatte di tensione, paura e un pervasivo senso di disgusto sociale che filtrano costantemente dallo schermo.
recensione di Emiliano Zambon
CARVED di Justin Harding
Un giocoso ritorno agli anni ’80 che funziona sia come slasher che come commedia slapstick. Justin Harding riesce a incastrare l’orrore alla commedia senza che si disinneschino a vicenda, cosa non banale considerato che molte commedie horror riescono a fare bene solo una delle due cose. La creatura è un buon mix di effetti pratici e una CGI non proprio eccelsa ma che nell’insieme funziona e sembra quasi il frutto dell’ingegno di un giovane Sam Raimi, la cui influenza è evidente nel corso di tutto il film. Carved è il film sulla zucca assassina che nessuno ha chiesto ma di cui avevamo bisogno.
recensione di Emiliano Zambon
PRINCE OF DARKNESS di John Carpenter
A meno che non ti chiami John Carpenter e il tuo film non sia questo, gli horror fantascientifici e quelli incentrati su temi religiosi non vanno facilmente a braccetto.
Ciò che rende Prince of Darkness così forte tuttavia è proprio l’idea di cosa accadrebbe se la scienza potesse spiegare ciò che la religione ha cercato di insabbiare per così tanto tempo; il pensiero che si possa facilmente spiegare il concetto di puro male, l’idea che forze mistiche che abbiamo sempre liquidato come fantasie perché vanno ben oltre la nostra capacità di comprensione, siano reali e facilmente dimostrabili in termini scientifici, è qualcosa di per sé terrificante, oltre che un ottimo soggetto per un film. Prince of Darkness non è solo probabilmente il lavoro più sottovalutato del John, ma uno dei migliori in assoluto; un film inesorabile avvolto da un senso di sventura strisciante e di terrore opprimente, senza nulla da invidiare ai capolavori più conclamati. Cattura lo stesso senso di isolamento e l’idea di puro male che definisce Michael Myers, ma con la potenza visiva di The Thing. Per non parlare del comparto sonoro, a metà tra sogno e incubo, dove linee di basso tipicamente carpenteriane e sintetizzatori dissonanti si combinano a voci eteree e melodie più tradizionali che suggeriscono l’incontro del nostro mondo con quello dell’anti-materia. È il perfetto film da guardare al buio completo e lasciare che le immagini ti brucino nel cervello, cercando magari di resistere all’impulso di distruggere tutti gli specchi di casa una volta finito…