
VIDEO NASTY è un termine coniato in Inghilterra negli anni 80 dal comitato censura per indicare i film da VHS che avevano un contenuto violento o comunque mal visto. 
Questa rubrica parla di cinema ed è a cura di Carmelo Garraffo ed Emiliano Zambon.
Se vuoi proporci un film da recensire o collaborare con noi, scrivi a redazione@grindontheroad.com
 THE ELIXIR di Kimo Stamboel (2025)
THE ELIXIR di Kimo Stamboel (2025)
Ciao ragazzi, come state? Bentrovati anche questo mese che, come penso sappiate, è il mese delle streghe e con un uscita prevista per Halloween non potevamo fare altro che consigliarvi un sacco di film horror per sporcare di sangue la vostra serata. Il primo film di cui vado a scrivervi oggi è un horror indonesiano approdato di fresco nel catalogo di Netflix. The ELIXIR (Abadi nan jaya) è un horror indonesiano di Kimo Stamboel, regista che ha iniziato la sua carriera girando dei film con l’amico Timo Tjahjanto a nome Mo Brothers (potrebbe esservi capitato di avere visto il loro Macabre del 2009 che è arrivato anche dalle nostre parti). Non è la prima volta che scrivo in questa rubrica di horror indonesiani e il motivo è che reputo sia il nuovo j-horror, ovvero un nuovo movimento in super fermento che sforna film a rotta di collo. Il motivo? In patria il folklore è molto forte e il genere horror è il più grosso che c’è, quindi i campioni di incassi sono film dell’orrore locali. Come se da noi Sorrentino facesse film con sangue e budella, mi capite? L’occidente sta cominciando a capirlo e nell’ultimissimo periodo alcuni loro film stanno uscendo dal mercato locale, più che altro esportati nel catalogo Netflix USA ma, evidentemente, vanno così bene che Netflix ha cominciato a collaborare direttamente con loro. La serie Incubi & Sogni di Joko Anwar (il mio regista Indonesiano preferito, recuperatela se non lo avete fatto) è stata il primo progetto a uscire a livello globale ed ora arriva questo The ELIXIR, film horror a tema zombie. La cosa, per me, negativa di questo tipo di progetto è il cercare di conformarsi a dei gusti più occidentale andando ad eliminare ogni traccia di folklore locale, forse per la paura di non essere compresi, standardizzando i loro racconti perdendo un po’ di originalità. Ma, se è vero che the ELIXIR non inventa niente, è altrettanto vero che risulta essere dannatamente divertente. Quindi la storia è a grandi linee quella che vi potreste aspettare, quella di un manipolo di personaggi che si ritroverà in mezzo alla campagna indonesiana ad affrontare la più classica dell’epidemia zombie. Tutto parte da un elisir di lunga vita che non funzionerà esattamente come sperato e il resto della famiglia composta da figlia e marito in crisi, un fratello di lei pigrissimo che vuole solo giocare ai videogiochi, l’ex amica della figlia ora sposata col padre (una relazione non proprio ben vista in famiglia) e un bambino dovranno lottare per sopravvivere. Se lo chiedete a me l’inizio non è brillantissimo, quello dove si settano i rapporti tra i personaggi, ma quando ingrana la quinta e si comincia a correre il divertimento è assicurato con tutto il corollario di sangue, morsi, infezioni, fughe, amici che diventano nemici e diverse morti inaspettate. Quindi abbiate un po’ di pazienza! Non è di certo il film che vi cambia la vita e la sua missione è palesemente quella di intrattenere il più possibile e ci riesce alla grande. Anzi, a in un paio di momenti farà anche più del necessario. Super consigliato insieme a una vaschetta di popocorn e un divano.
recensione di Carmelo Garraffo
ViICIOUS di Bryan Bertino (2025)
Il secondo film di cui vado a parlarvi oggi è, come il precedente, qualcosa che potete andarvi a guardare subito, in modo da aver apparecchiati per la serata già due film. Non male, no? Mi sembra un ottimo modo per aiutarvi a passare questo Halloween e a non pensare “si ok ma sta roba io dove la guardo?” Che è un po’ un problema di questa rubrica, anche se molte cose sono consigli per il futuro (alcuni stanno uscendo, come The Ugly Stepsister (in uscita al cinema) e Clown in a Cornfield (disponibile ora su Amazon Prime col titolo Il Clown di Kettle Springs. Altro consiglio per questo Halloween!) di cui vi abbiamo già parlato nei mesi precedenti. Se prima abbiamo parlato di Netflix adesso parliamo di Paramount+ . Bryan Bertino è un regista americano conosciuto più che altro per il suo The Strangers del 2008 (alto ottimo film per Halloween, Amazon Prime) ma che ha in carriera almeno un altro buon film che vi invito a recuperare, The Dark and the Wicked del 2020 (purtroppo non presente in piattaforma in Italia ma un buon folk horror da recuperare, e siamo a cinque film consigliati per questo Halloween!). Torna con un film che da noi esce direttamente in streaming con Dakota Fanning come protagonista nei panni di Polly, una ragazza che si trova a passare la notte a casa dei suoi genitori, che riceve una strana visita da una signora anziana che darà il via a una serie di eventi sempre più strani e bizzarri, quasi una specie di strano gioco fatto di scatole e telefonate. È ben girato, con una fotografia fatta di bui e silenzi che riescono a restituire l’ansia e il senso di oppressione fisico e metaforico a cui è sottoposta la nostra protagonista. Vicious è uno di quegli horror dove a un certo punto capisci che c’è dell’altro e che gli eventi vanno in un certo senso interpretati perchè nulla è davvero come sembra. Funziona per la maggior parte del tempo ma se lo chiedete a me la sensazione è che il mistero a un certo punto diventi fin troppo confuso. Per intenderci, arrivati a un certo punto si ha la sensazione che il film volga al termine e invece non è così, andando ad aggiungere un secondo e un terzo finale messi lì per creare strati a una storia che probabilmente non ne aveva bisogno o nel, questo si, tentativo di voler spiegarsi non facendo altro che creare ulteriore confusione. È un peccato perchè, come scrivevo sopra, riesce a dare un senso di ansia e disturbo costante per quasi tutto il tempo o, perlomeno, quando sceglie di costruire. È un peccato che non raccolga del tutto quanto promesso.
recensione di Carmelo Garraffo
 NIGHT OF THE REAPER di Brandon Christensen (2025)
NIGHT OF THE REAPER di Brandon Christensen (2025)
L’ultimo consiglio del vostro Carmelo prima di passare la palla al buon Emiliano è Night of the Reaper, questo non in piattaforma (scusate), un film perfetto per Halloween che rientra in pieno in quella categoria di film che io chiamo “onesto”. Non è un termine denigratorio ma, anzi, ci rientrano tutta una serie di film che intrattengono e fanno il loro. Parliamo di uno slasher un pochettino (ino) televisivo con un cast di facce di fascia bassa e un budget non stellare che riesce a giocarsi bene le proprie carte. È uno slasher che fa lo slasher con un assassino mascherato, babysitter e tutto il corollario che riesce a intrattenere bene per i canonici 90 minuti. Nonostante l’evidente budget non stellare l’ho trovato ben girato, con la giusta dose di tensione e un paio di twist interessanti. Insomma, è uno di quei film che riescono a intrattenere senza stravolgere la ricetta classica ma che hanno senso di esistere nel contesto del passare una serata senza per forza cercare un qualcosa di troppo pesante o ricercato, dei film ottimi per quei momenti di puro intrattenimento ma che, questo sì, lo fanno con un minimo di intelligenza senza prendere in giro lo spettatore. Voglio dire, non vorrei far passare il messaggio del “film scemo per staccare il cervello”. Anche qui, come il primo film a tema zombie di cui abbiamo parlato oggi, non c’è davvero nulla di miracoloso o particolarmente innovativo, anzi, si gioca molto anche col citazionsimo e le regole non scritte del genere di riferimento, ma si arriva in fondo con un sapore in bocca migliore di quanto ci si potesse aspettare. Poi, ovviamente, c’è “ (don’t fear) the reaper” dei Blue Oyster Cult sui titoli di coda. Da manuale. Onesto. Buon Halloween.
recensione di Carmelo Garraffo

THE LONG WALK di Francis Lawrence (2025)
The Long Walk è tratto da una storia che Stephen King iniziò a scrivere quando era matricola al college nel 1966, eppure ancora dolorosamente attuale. Un romanzo che infine realizzò sotto pseudonimo per separare il piacere di scrivere dalle aspettative commerciali, un breve thriller distopico in un’America post Vietnam lacerata dal panico, dalle proteste e dalla corruzione del governo messa a nudo. Quando lo lessi per la prima volta, mi colpì quanto fosse politico; per la brutalità con cui spogliava l’ipocrisia della retorica a stelle e strisce sbattendoti in faccia verità dolorose senza chiedere scusa. Stephen King voleva raccontare una storia che mettesse a nudo le orribili perversioni della politica del suo paese in un modo che ne enfatizzasse il puro orrore. La premessa è semplice: l’America si trova in una profonda crisi economica e identitaria dopo un non precisato conflitto e, per mantenere viva la menzogna del sogno americano, un governo fascista guidato da un maggiore senza nome (un ottimo Mark Hamill) ha ideato una maratona per i giovani maschi del paese. Non c’è un traguardo. Tutti camminano finché non scendono al di sotto di una certa velocità, e se non ritrovano il ritmo dopo tre ammonizioni vengono giustiziati sul posto dai soldati che li scortano. Solo l’ultimo a rimanere in piedi riuscirà a salvarsi, vincere ricchezze sconfinate e un desiderio che il governo esaudirà. Questa operazione è vista dal Maggiore tanto come un rimprovero a una presunta “epidemia di pigrizia” che si sta diffondendo tra i giovani, dove la sfida della lunga marcia è definita come una sorta di leva obbligatoria, quanto una celebrazione dell’orgoglio nazionale. Se continui a camminare, puoi farcela! Basta alzare le scarpe e mettere un piede davanti all’altro. Questa idea è al centro del feroce commento del film sull’America di ieri e di oggi. Che si tratti dell’esercito visto come una macchina senza anima che non si pone alcuno scrupolo a mandare al macello dei ragazzini, o dell’idea del sogno americano come una carota che ci oscilla davanti agli occhi, la critica qui apparecchiata dallo sceneggiatore JT Mollner (già autore di uno dei migliori thriller degli ultimi anni, Strange Darling) è sottile quanto i proiettili che spappolano il cervello dei giovani uomini. La calma presenza di Cooper Hoffman è la nostra guida in un film che, salvo un paio di flashback, segue interamente un gruppo di giovani determinati e senza speranza mentre camminano verso la morte, in cui l’obiettivo diventa sempre più doloroso da rispettare man mano che si avvicinano e stringono rapporti di amicizia. Poiché viviamo in un’epoca in cui l’empatia è stigmatizzata dai mostri che governano il mondo, vedere questi ragazzi forgiare amicizie nel mezzo di un’operazione destinata a ucciderli per la sua stessa propaganda è piuttosto forte. La fotografia applica un’estetica minimale e claustrofobica simile a una pattumiera in cui i primi piani abbondano, fissati davanti ai ragazzi che camminano, senza grandi virtuosismi di angolazioni o inquadrature. Questa atmosfera semplice, rarefatta e polverosa rende The Long Walk più realistico o drammaticamente ordinario. Forse avrebbe beneficiato di una finestra temporale meno ridotta, e di sviluppare meglio certi personaggi, ma questo nichilismo è raro per un film mainstream. Con il suo messaggio nettissimo e un finale diverso dal libro che sorprende in positivo, messo in scena in modo brutalmente efficace e naturale sulle note di America the Beautiful tanto da far sembrare il climax di Blow Out di Brian De Palma quasi conservatore al confronto, questo è un film che non ti tiene per mano lungo il percorso, né ti rimbocca le coperte e ti legge una favola della buonanotte alla fine.
recensione di Emiliano Zambon

PRIMITIVE WAR di Luke Sparke (2025)
Adattato dall’omonimo romanzo di Ethan Pettus del 2017 (che non ho letto), Primitive War si presenta come una sorta di unione ideale tra Predator e Dino Crisis, il survival horror targato Capcom per la prima, gloriosa Playstation. Cosa accadrebbe se un gruppo d’élite dell’esercito americano in ricognizione nella giungla del Vietnam durante la guerra si imbattesse improvvisamente in orde di feroci dinosauri assetati di sangue fuggiti da un centro di ricerca? Luke Sparke capisce subito che il solo modo per dare forma a un b-movie estremamente divertente è quello di affidarsi all’accuratezza storica, senza mai lesinare sull’azione e sulla violenza. Nonostante una storia così improbabile con cui lavorare, Sparke la interpreta come un vero e proprio dramma horror, con solo occasionali comic relief. I paragoni con Jurassic World Rebirth sono inevitabili considerata la vicinanza della release, ma c’è un elemento particolare che rende questo film a basso costo molto più divertente rispetto allo scatolone vuoto Universal. Oltre a presentare una gamma più diversificata e gustosa di dinosauri con sorprendente precisione rispetto alla documentazione fossile, i dinosauri di Primitive War sono realmente spaventosi. La maggior parte dei movimenti e degli schemi comportamentali sono coerenti con quelli delle loro controparti di Jurassic World, ma qui sono più veloci, più feroci, piu letali. Di gran lunga infatti l’elemento più impressionante del film è l’incredibile comparto visivo, considerato il modestissimo budget a disposizione e l’enorme volume di azione con dinosauri digitali. La CGI non è sempre impeccabile ovviamente, ma le creature sono di gran lunga migliori rispetto a qualsiasi altra cosa potresti trovare in un prodotto televisivo. Nel corso del film, Sparke riesce a incapsulare diverse sequenze impressionanti che non solo sembrano realizzate al triplo del budget ma sono anche maledettamente divertenti, con un climax che sembra uscito direttamente dal sogno ad occhi aperti di un bambino di otto anni, e lo dico nel modo più affettuoso possibile. Se hai mai desiderato vedere un T-rex affrontare un carro armato o un gruppo di G.I.Joe respingere dozzine di rapaci preistorici con mitragliatrici e granate, Primitive War potrebbe fare al caso tuo.
                                                                                                                                                                                                                                        recensione di Emiliano Zambon
COYOTES di Colin Minihan (2025)
Coyotes è un film da domenica pomeriggio che non è minimamente interessato al realismo, e lo rende chiaro fin dall’inizio abbracciando con gusto la weirdness della sua premessa, apparecchiando uno scenario in cui una famiglia della periferia di Hollywood si ritrova intrappolata nella loro villa sulle colline, circondata da incendi, colpita da una tempesta di vento e perseguitata da un branco di coyote assassini. Sembra piuttosto ridicolo, e lo è, eppure il film si appoggia alla sua improbabile premessa con tale autoconsapevolezza ed energia che mettere in discussione la sua plausibilità risulta subito inutile. Diretto con chiaro affetto per il lato più camp del genere, Coyotes si appoggia palesemente ai padri putativi, ma invece di scivolare in un vuoto omaggio riesce a fare qualcosa di più interessante: un tributo sincero e satirico che dosa nel modo giusto umorismo e posta in gioco reale. La minaccia potrà essere scema, ma la tensione – sorprendentemente – regge. Lo scream king Justin Long e Kate Bosworth affrontano coraggiosamente una sceneggiatura che alterna attriti familiari a terrore lupino in modo abbastanza intelligente da iniettare una zavorra emotiva sufficiente a mantenere l’assurdità della situazione con i piedi per terra, senza però lasciare che le cose si facciano troppo serie, forti anche di un cast di contorno imprevedibile che offre un contrappunto un po’ anarchico alla narrazione principale, giocando sulle norme suburbane da ricchi e alzando la posta in gioco in modi piuttosto divertenti. Visivamente, i predatori del titolo prendono vita per lo più attraverso quello che sembra essere un mix di filmati reali e AI, riuscendo a mantenere un accettabile senso di tattilità. Gli effetti sono usati con parsimonia, evitando il più possibile quel fastidioso distacco che spesso rovina questi titoli a basso costo, senza però lesinare sulla violenza. Coyotes non è certo arte alta, ma non pretende nemmeno di esserlo. Ciò che offre invece è un onesto film di animali assassini dal ritmo vivace e accattivante, che rispetta l’intelligenza del pubblico senza chiedergli di prendere le cose troppo sul serio. In un panorama cinematografico ingombro di sciocchezze serissime e reboot senza anima, questo è un film che si diverte davvero – e lo fa con tale sincerità da elevarsi dal semplice pastiche.
recensione di Emiliano Zambon


