VIDEO NASTY è un termine coniato in Inghilterra negli anni 80 dal comitato censura per indicare i film da VHS che avevano un contenuto violento o comunque mal visto.
Questa nuova rubrica parla di cinema ed è a cura di Carmelo Garraffo ed Emiliano Zambon.
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OPUS di Mark Anthony Green (2025)
Che confusione. Opus vuole entrare nel filone portato alla ribalta da Midsommar, poi da The Menu e poi da Blink Twice, ovvero: gruppo di persone va in un posto isolato dove la comunità è tutta matta. Non è uno spoiler perché a differenza degli altri film citati lavora talmente male che lo capisci al secondo uno (o forse taglia la testa al toro senza nasconderlo) e il film dura un’ora e quaranta. È ben fatto e ci sono un sacco di buoni attori ma ha il problema di non aver capito un certo tipo di film che ha di certo radici molto più profonde di Midsommar, andando a riprendere tutto un filone folk horror che non lo so, dico Wicker Man? Fate voi, ci siamo capiti. Ma se lì era tutto un seminare per creare un background dietro alla storia principale, qui ci sono un sacco di pretesti e forzature di cose strane che succedono solo perché sono strane, senza una reale spiegazione sul perché sia così. Sono semplicemente in un luogo dove questa “setta” ha comportamenti e usi bizzarri in un certo modo perché si. In realtà ci sono un paio di momenti in cui cerca di unire dei puntini (uno di questi è uno spiegone noiosissimo) ma tutto si muove tra il banale e il “guarda che idea pazzesca” che in realtà non lo è. Sicuramente l’intenzione era di farne una versione più pop e grottescamente leggera ma non sembra funzionare mai, sembrando più che altro stupida e appiccicata per rispettare delle regole del genere che non sembrano interessare davvero (e allora fai un altro film, dico io). Per non parlare del doppio finale dove vorrebbe stupirci con un colpo di scena che “wow raga ma hai capito?!” che invece non lo so, a me non ha colpito particolarmente. Nonostante questa mia recensione sembri un invettiva molto cattiva in realtà si arriva comunque alla fine, il film mantiene un certo ritmo e si fa guardare anche grazie ad alcune scene di sangue e al cast variegato. Forse il problema principale è che si è cercato di commercializzare in salsa super pop e accessibile un genere che di regola è fatto di piccole cose e brutte sensazioni che ti scorrono dietro la schiena e nonostante porti a casa la visione ci si sarebbe aspettato qualcosa di un po’ più profondo e complesso. A me non ha colpito molto a fondo ma magari fa per voi.
recensione di Carmelo Garraffo
825 FOREST ROAD di Stephen Cognetti (2025)
Bisogna fare una piccola premessa per parlare di 825 Forest Road. Sapete chi è Stephen Cognetti? È un regista che si è fatto conoscere da una piccola nicchia di appassionati per una saga horror chiamata Hell House LLC che ha come plot: “giovani occupano una casa abbandonata con la malsana idea di trasformarla in una casa degli orrori e farci entrare dentro la gente a pagamento”. Non siamo dalle parti della fama di Saw né da quella meno prodotta di Paranormal Activity ma parliamo di film a basso budget che (in teoria) si dovrebbero muovere principalmente grazie alle idee. Non è roba che esce in sala (non solo da noi), distribuita più che altro su piattaforme digitali che trattano il cinema horror. Shudder è il canale di riferimento che, ahimè, da noi non è presente (ma se sapete come muovervi nei meandri della rete questi titoli non sono così difficili da reperire). Tagliando corto non è che sia una saga dalle grandi qualità, ma tra “medi e bassi” ne sono usciti quattro (con un quinto in arrivo) e tutti rientrano nella categoria dei found footage. 825 Forest Road è il primo film di Cognetti a non usare questa tecnica, prediligendo riprese più tradizionali, e se lo chiedete a me, che un po’ ai suoi film precedenti mezzi brutti e strampalati si era affezionato, era una bella prova sul campo, un’occasione per fare un salto, o almeno un saltello. Purtroppo, ahimè, la prova non è stata superata e 825FR (abbreviamo) non solo non porta avanti Cognetti come regista ma, anzi, lo fa tornare indietro con un’opera che più che opera quinta sembra un’opera prima, il che è strano perché il film precedente era il suo film girato meglio e la sensazione era che piano piano potesse uscire fuori come un regista da tenere in considerazione per quelle serate da horror da cestone che non ti chiedono di usare un grammo di cervello. Qui Cognetti oltre a girare male (la scena che spaventa di più è quella con la soggettiva da un telefono, pensate un po’) scrive anche peggio con una di quelle storie che vorrebbe essere complessa ma lo è solo perché gestita malissimo, con una risoluzione finale che non ha senso e significato da qualsiasi parte la si guardi. La storia è più o meno questa: moglie, marito e sorella traumatizzata di lui vanno a vivere in una nuova casa che forse è posseduta da qualcosa. L’idea del film è di dividerlo in tre, seguendo il punto di vista dei protagonisti. Il risultato sono ribaltamenti di punti di vista molto pigri che finiscono per unirsi nel finale dove il mistero viene finalmente ricostruito e svelato. In una rubrica piena di consigli a questo giro vi do uno “sconsiglio” che è un po’ una scusa per parlarvi dell’esistenza di Hell House LLC in attesa del nuovo capitolo di cui, sicuramente, avrò modo di parlarvi più avanti. Poi chissà, magari vi ho comunque messo una pulce nell’orecchio su qualcosa che prima non conoscevate.
recensione di Carmelo Garraffo
Or Utopia di Yunsoo Kim (2024)
Passato assolutamente sotto silenzio Or Utopia è un film giapponese disponibile da noi su prime video che vale la pena recuperare. È difficile parlarne senza fare spoiler, soprattutto perché a leggerne la sinossi in giro ci si incappa subito. Siamo nel 2024 e succede qualcosa al pianeta Terra che costringe un piccolo numero di persone a rimanere all’interno dell’hotel in cui stavano soggiornando per i motivi più vari. Fuori, nel mondo, si scatena qualcosa che lo sta distruggendo. Non è tanto importante quello che succede fuori ma quello che succede dentro perché, nonostante le premesse possano farlo pensare, non ci troviamo di fronte a un film post-apocalittico di stampo action o mistery. Parlare di “quello che succede dentro” è in questo caso interpretabile in diversi modi, sia a livello puramente di sopravvivenza e di rapporti tra i personaggi ma anche in relazione ai personaggi stessi che dovranno scendere a patti con il loro Io e con i motivi per cui si trovavano in quell’hotel. Ci troviamo quindi di fronte a un film di scrittura, di dialogo, di rapporti, che indaga sull’esistenza. Per fortuna non lo fa in un modo banale e va detto per correttezza che se state cercando un film dal grande ritmo e colpi di scena forse non è il film adatto a voi, ma se amate i film particolari, magari un po’ contemplativi, che possano parlarci di “noi”, allora Or Utopia è un buon consiglio di cinema. Non un capolavoro ma un buon film non per tutti ma oh, il cinema fatto per tutti non è mai il cinema migliore.
recensione di Carmelo Garraffo