
Mantenendo un profilo basso i VoidCeremony pubblicano il nuovo album, Abditum, terzo capitolo di una discografia che li vede in costante evoluzione. Difatti è palese quanto la band sposti il proprio sound in avanti, lasciando ai due precedenti dischi un certo vigore adolescenziale – seppur mai sversato in calderoni maleodoranti -, preferendo una gestione più ragionata. Musica col bilancino: il death metal dei Nostri è sempre un fulgido esempio di tecnica sopraffina, dove il progressive e il jazz emergono in numerosi frangenti, con tutti i musicisti coinvolti che si esibiscono in una prestazione superba. D’altronde con un pedigree simile, non potevamo aspettarci nulla di meno: Atheist per il batterista Dylan Marks, Mournful Congregation per il bassista Damon Good, Seraphic Disgust per il chitarrista Jayson McGehee, ovviamente tutti sotto la leadership di Garrett Johnson, il fondatore della band.
Ma torniamo a questo Abditum. Da sempre il gruppo californiano predilige un basso minutaggio per i suoi lavori. Con ventinove minuti, questa la sua durata, i quattro riescono a far confluire tutte le loro qualità. Abbiamo così un lotto di canzoni che non si disperdono in inutili divagazioni, in giri senza senso lungo il pentagramma. Non c’è mai quello sterile sfoggio tecnico che affligge il technical death, con dischi polpettoni che sembrano un’accozzaglia di suoni, scale, virtuosismi, gare di sputo, chi ce l’ha più grosso, lungo e duraturo. I VoidCeremony sono un flusso costante, non perdono la bussola, non sono qui a distrarre gli ascoltatori. Abditum è un disco maturo, che vede la band evolversi notevolmente rispetto alle precedenti uscite, senza rinnegarle – ovviamente – e senza mai voltare le spalle a quel death metal che negli anni Novanta ha raggiunto vette altissime. Con un suono caldo, ipercinetico, non esente da quelle asperità ritmiche che tanto ci piacciono, il quartetto dimostra che la musica estrema è ben lontana dal ripiegarsi su se stessa, in un vacuo tentativo di mangiarsi da sola. Perché troppe volte l’eccessiva velocità, l’esagerata violenza, gli astrusi e cervellotici labirinti ritmici, hanno spostato l’attenzione, annoiando l’ascoltatore, rendendolo sperduto.
Abditum è un disco violento ma di quella violenza che sceglie altre strade, concettualmente sì più tortuose, che ignorano i richiami alle facili soluzioni, che punta al bersaglio grosso: convincere. E ci riesce benissimo, perché è sicuramente tra le migliori uscite death metal di quest’anno, confermando i VoidCeremony nel gotha del genere.
(20 Buck Spin, 2025)
1. Intro – Inevitable Entropy
2. Veracious Duality
3. Seventh Ephemeral Aura
4. Dissolution
5. Despair of Temporal Existence
6. Failure of Ancient Wisdoms
7. Silence Which Ceases All Minds
8. Gnosis of Ambivalence
9. Outro – Elegy of Finality


