I Volvopenta sono un quartetto tedesco che ama la sperimentazione e i riff energici, formatosi nel 2015 a Mülheim, un piccolo paese nella Germania settentrionale. Il loro sound ha diverse contaminazioni e prende spunto dal post-rock classico, con tinte più dure e progressive. Il contrasto notevole che nasce tra la sintonia dei due chitarristi Marcus Kreyhan e Stefan Claudius e l’enorme tappeto sonoro della ritmica di André David al basso e Kai Spriestersbach alla batteria crea un lavoro immenso in fase di scrittura senza precedenti. Dopo l’esordio Yoshiwara del 2017, dove le sonorità erano semplici e dirette per un ascolto leggero, senza troppi intoppi, il nuovo album Simulacrum, uscito per l’etichetta tedesca Tonzonen Records, continua gli sviluppi musicali con brani orecchiabili, ma si avventura anche in mondi surreali e complessi per un risultato eccellente.
L’apertura malinconica di “Kargus” accende subito l’atmosfera preziosa con un sottofondo sensibile, cullato da un timbro sicuro della batteria, avvolta dalle chitarre effettate. Nella parte centrale la tempistica accelera il suo percorso in maniera netta, per poi esplodere nel vortice luminoso della linea vocale. A seguire “Tele 81” innalza un nucleo magnetico, studiato alla perfezione dal groove ipnotico del basso che si lascia andare agli accenni ruvidi delle chitarre. Nel mondo distopico di questo brano la band mette a nudo un percorso personale e introspettivo. Non mancano gli scatti di rabbia che si uniscono alla dolcezza e al tempo lento che chiude in silenzio il brano. “Barfly” è una composizione tipica post-rock, incandescente e lineare. Il pianoforte che si apre al suo interno è stupendo, con grande emozione il percorso si fa serio e particolare. Nel finale la ritmica incendiaria si lancia nell’effettistica rumorosa. La linea vocale misteriosa di “Central Human Agency” sposta il mood in qualcosa di diverso dalle tinte forti, che sfocia nella follia e in urla disperate. Dopo il breve intermezzo opaco e desolato di “Interlude 1” ci immergiamo in una traccia interessante e grandiosa come “Ghost” dove il lavoro principale viene messo su dal tiro macchinoso di basso e batteria, che vanno fuori tempo rispetto alla voce amplificata e surreale. Senza dubbio un brano ben scritto, sperimentale e psichedelico. Dopo il secondo breve stacco di “Interlude 2” l’ambiente diventa caldo con le note di “Kolonie 56”, una composizione superiore per maturità rispetto al resto del disco. Nel suo insieme ci sono delle influenze a tinte dark shoegaze, che però rimangono nel suo habitat naturale, impreziosito dai continui riff e distorsioni. Verso la fine ci soffermiamo sull’energica “One to Five” che segue il cammino diretto e monotono affrontato nei vari passaggi precedenti. Nel ritornello troviamo un infinità di vibrazioni incredibili che lentamente chiudono il sogno. L’album si conclude con “Flint”, una composizione molto lunga, per chiudere questo disco in maniera dolce e raffinata. Lo schema che viene fuori strizza l’orecchio a mostri sacri del genere come Mogwai e This Will Destroy You. Una perla bellissima da pelle d’oca per il giusto finale.
I Volvopenta si confermano a livelli incredibili, con un album che ti entra dentro e arriva fino in fondo all’anima, per scavare i ricordi lontani, le paure nascoste e i giorni surreali che ognuno di noi affronta, lasciando uno spazio unico e speciale.
(Tonzonen Records, 2021)
1. Kargus
2. Tele 81
3. Barfly
4. Central Human Agency
5. Interlude 1
6. Ghost
7. Interlude 2
8. Kolonie 56
9. One to Five
10. Flint