Kin è l’ottava fatica del complesso statunitense Whitechapel. Il loro primo album risale ormai al lontano 2007, l’indimenticabile The Somatic Defilement, un disco di una violenza inaudita grazie al quale abbiamo imparato ad amare il ruggito “sturalavandini” del piccolo Phil Bozeman. Nel corso di questi anni i Nostri, come poi capita spesso in questo genere -core, hanno attuato un processo di maturazione non indifferente. Per carità, qualche passo falso c’è stato, tipo Mark Of The Blade, ma è sicuramente servito per capire cosa funziona in casa Whitechapel e cosa no, infatti il lavoro successivo The Valley, è stato oggettivamente superiore al predecessore. Ma in questo 2021 tocca al nuovo Kin e vi posso dire che ci saranno delle sorprese. Giusto un piccolo spoiler: non è il solito deathcore/metalcore.
Nuovi scenari e orizzonti vengono esplorati dal complesso americano e già dalla prima traccia si possono toccare con mano. A dire il vero con l’incipit “I Will Find You”, pensavo si trattasse di un’altra band: chitarre acustiche leggere che sembrano quelle di un gruppo rock tipicamente americano, ma più si va avanti nell’ascolto più si capisce a cosa si va incontro. Sono rimasto positivamente colpito dal miglioramento della voce del leader Bozeman: sulla parte “sporca” non si discute, ma anche quella “pulita” non scherza; magari non rimarrà negli annali della musica, ma comunque molto ben cantata. I suoi testi sono sempre stati crudi e brutali, ma in questo caso il cantante scava nel proprio passato e dalle viscere della sofferenza regalandoci un ottimo e cupo viaggio nella sua mente. Con la successiva “Lost Boy” si va sulle montagne russe e si nota la maturità compositiva del combo del Tennessee coadiuvati anche dalla nuova entrata dietro le pelli di Alex Rudinger che sostituisce il buon Ben Herclerode. Il nuovo batterista non ha certo bisogno di presentazioni, a mio avviso è riuscito a dare quel quid in più a tutto il gruppo e si nota che si trova a suo agio in mezzo ai nuovi commilitoni. Un’altra nota positiva di questo disco è la ricercatezza: distorsioni di chitarra, fraseggi e assoli aumentano l’atmosfera e l’aria sulfurea a scapito delle loro sonorità più toste che tutti ben conosciamo. Forse si sono un po’ snaturati, ma questo Kin è un vortice di emozioni. La parte più cruda, che potrebbe far alzare in piedi i fan della prima ora, è costituita dalla micidiale doppietta “The Ones That Made Us” e “To The Wolves”; ecco, qui potrete ascoltare la loro vecchia furia distruttiva. Manifesto conclusivo del loro cambiamento di DNA è dato dalla traccia che dona il titolo al disco: “Kin”. Arpeggi acustici quasi country accompagnati da un ottimo pianoforte insieme alla voce malinconica e sofferente del carismatico cantante a stelle e strisce il quale riesce a raggiungere vette da brividi che sono difficili da spiegare a parole. Non vi resta che ascoltarla.
Un disco decisamente diverso dal solito. Probabilmente gli incalliti fan del deathcore più brutale rimarranno delusi, ma invece coloro i quali apprezzano le contaminazioni ed evoluzioni artistiche troveranno in questo album pane per i loro denti. Album che non ha momenti di cedimento; giusto a volte, a mio parere conoscendo il passato dei Whitechapel, si rimane un po’ esterrefatti, ma è tutto molto bello e a mio avviso a questo punto fa parte del gioco. La consapevolezza del gruppo è aumentata a dismisura nel corso degli anni; in poche parole, Kin vi stupirà.
(Metal Blade Records, 2021)
1. I Will Find You
2. Lost Boy
3. A Bloodsoaked Symphony
4. Anticure
5. The Ones That Made Us
6. History Is Silent
7. To the Wolves
8. Orphan
9. Without You
10. Without Us
11. Kin