I Wiegedood tornano con questo secondo disco, intitolato – senza grandi sforzi di fantasia – semplicemente De Doden Hebben Het Goed II, che segue il primo capitolo del 2015. Per chi non li conoscesse, i Wiegedood sono quelli che potremmo definire un “supergruppo” dell’underground belga, mai così prolifico come oggi: con un componente degli Amenra (Levy Seynaeve), uno degli Oathbreaker (Gilles Demolder) e un ex Rise And Fall (Wim Sreppoc), lo si può ben dire.
Rispetto all’esordio, il terzetto ha ricalibrato la propria proposta in senso più old-school: il black metal dei belgi ha perso parte delle componenti atmosferiche e cascadian così tanto presenti nel primo capitolo, per virare verso una proposta che si rifà principalmente alla “scuola” scandinava degli anni Novanta. L’iniziale “Ontzielling” prende il via proprio su queste coordinate, mostrando peraltro, sul piano vocale, uno scream più chiuso e dunque più “cattivo”; altra novità è un maggiore dinamismo ritmico, ed una cura della struttura che ci sembra più marcata rispetto a quanto sentito nel primo disco. La coda di questo pezzo sembra però rimandare al primo capitolo dei nostri, con una chiusura acustica che degrada nella successiva “Cataract”: pezzo che nella sua prima parte è più legato a sonorità atmosferiche, prima di riprendere un approccio più violento. La title-track, nella sua ossessiva ripetitività e struttura minimalista, rimanda persino ad atmosfere burzumiane, anche per le vocals ieratiche. La conclusiva “Smeekbede” riprende le dinamiche novantiane sentite, in particolare, nel pezzo d’apertura.
Dobbiamo dare atto ai Wiegedood di possedere un certo coraggio: innanzitutto, questo progetto non assomiglia a nessuna delle band di provenienza dei tre componenti; poi, questo secondo capitolo si distacca in modo abbastanza netto dal primo, una svolta abbastanza sorprendente se si considera quanto sono oggi in voga certe sonorità “post-black” ed atmosferiche, ed il successo di cui gode la variopinta paccottiglia definita blackgaze. La band belga ha scelto invece di guardare al black più malvagio, con rimandi a Dark Funeral e Gorgoroth: non certo stilemi sulla cresta dell’onda. Le composizioni risultano così più dinamiche e gli arrangiamenti meno lineari; per contro, dobbiamo dire che certamente non si tratta di nulla di sorprendente, per quanto ben fatto. Possiamo forse considerare De Doden Hebben Het Goed II un album di transizione, e di costruzione, dell’autentica identità della band: a questo punto la verità arriverà, come da tradizione, col terzo capitolo della discografia.
(Consouling Sounds, 2017)
1. Ontzielling
2. Cataract
3. De Doden Hebben Het Goed II
4. Smeekbede