Ho sempre avuto un’attrazione magnetica per l’immaginario del mare, dell’acqua e della navigazione, soprattutto in contesti musicali. È uno dei motivi principali per cui i post-rockers polacchi Yenisei hanno catturato la mia attenzione nel corso degli anni: il tema della navigazione attraversa tanto il debutto The Last Cruise, del 2019, quanto il secondo album Reflections, pubblicato nel 2021 e recensito in passato su queste pagine. Con molta curiosità mi sono quindi avvicinato al terzo disco della band, Home, che, secondo il gruppo, esplora la ricerca di un luogo sicuro, sia fisico che interiore. Qui, la “casa” assume anche un significato più profondo e metaforico: un rifugio dai problemi e dal frastuono del mondo esterno. Un luogo a cui tornare, anche quando l’ambiente circostante ci delude o ci provoca dolore.
Il disco, totalmente autoprodotto, si apre in continuità con le riflessioni “acquatiche” di Reflections: “A Walk In The Sky” delinea da subito un discorso melodico improntato su un’atmosfera piuttosto serena. Le delicate note di chitarra, il riverbero avvolgente e i tappeti di sintetizzatori, uniti alla calma di una batteria rassicurante, dipingono un paesaggio sonoro leggero, in una sorta di viaggio spensierato tra cieli colorati e accoglienti. Realisticamente, però, ogni viaggio introspettivo che si rispetti non è mai compiuto senza l’insorgere di complicazioni di qualche tipo, e in questo senso è “Crickets”, il brano successivo, a scombinare le carte in tavola, sia in termini di umore che musicali. L’inizio, con pad che riecheggiano atmosfere shoegaze, sembra uscito dall’ultimo disco degli Slowdive: il brano si muove tra melodie eteree e drumming disteso, navigando tra suggestioni dream-pop e ritmi più densi. A metà pezzo, la sezione ritmica si interrompe, lasciando spazio ad un bellissimo fraseggio di chitarra pulita, assolutamente post-rock in ogni nota: questo riff tornerà nell’ultimo brano dell’album, donando a Home una forte sensazione di circolarità. “This Place Was A Shelter”, il primo singolo estratto, si apre con un tappeto di sintetizzatori saturati, accompagnato da un riff di chitarra elettrica piuttosto solenne. Il brano trasmette un senso di profonda malinconia, ma è nella sua seconda metà che la musica si carica di forza e intensità, con un’esplosione di riff distorti. La sezione centrale elettronica, con note ripetute di sintetizzatore in stile retrowave, crea un’atmosfera quasi fantascientifica, mentre le chitarre ampliano ulteriormente lo spazio sonoro, accompagnate da una batteria che cresce di intensità. Ascoltando questo brano provo una sorta di rassegnazione realistica verso il cambiamento di un luogo che un tempo era importante, e ora semplicemente non lo è più. “We Are Saved” si apre con un classico riff post-rock, evocando sin da subito un senso di protezione, come se finalmente si fosse raggiunta la destinazione e ne sia valsa la pena, nonostante le difficoltà e la desolazione emotiva incontrate lungo il percorso. Il brano si sviluppa lentamente, con emozioni che emergono soprattutto quando la batteria e i riff ascendenti si innalzano, liberandosi nell’aria come in una catarsi, circondati da effetti sonori e sintetizzatori che li abbracciano. Gli elementi elettronici si intrecciano perfettamente con l’anima post-rock del pezzo, che ricorda i momenti più cinematografici degli Sleepmakeswaves. La successiva “Insecure” segna un’importante novità nella discografia dei Yenisei: per la prima volta troviamo una parte vocale, affidata a Maciej Kowalski dei .WAVS. La voce è da sempre un elemento piuttosto divisivo nel post-rock, ma personalmente non sono mai stato contrario; in questo caso, la performance di Kowalski aggiunge profondità al brano, con un timbro che evoca vibrazioni simili agli Anathema, pur se calate in un contesto sonoro più post-rock che progressive. Il testo esplora il tema centrale dell’album, ovvero la sensazione di trovare casa anche nei luoghi più oscuri e impervi; la chitarra solista scintillante accompagna queste emozioni, affiancata da una seconda chitarra che avvolge tutto in un’atmosfera deliziosamente shoegaze. L’album si chiude con “Forgotten”, il brano più lungo (circa 7 minuti), che riprende il riff di “Crickets”, offrendo una piacevole sensazione di ritorno a casa. Un elemento interessante qui è l’uso del vocoder, il cui effetto richiama qualcosa a metà tra i God Is An Astronaut e i Daft Punk. Il brano, così come l’intero disco in effetti, si distingue per le sue contaminazioni moderne che non snaturano l’anima post-rock della proposta. Il finale, poi, è carico di emozioni contrastanti: da un lato, il calore delle chitarre in crescendo; dall’altro, la misteriosa chiusura con sintetizzatori e voci oscure, che lasciano addosso un ambivalente senso di mistero e tensione.
Alla fine dei 35 minuti di Home, ci si ritrova come viaggiatori che, dopo un lungo cammino, comprendono infine che la casa non è un luogo fisso, quanto piuttosto uno spazio mentale da raggiungere, consapevoli della sua natura mutevole. E poco importa se questo spazio non è perfetto o impenetrabile; attraverso paesaggi sonori ricchi di contrasti, gli Yenisei ci mostrano che sono proprio le imperfezioni a rendere unica la nostra idea di casa, ed è proprio per questo che, nonostante tutto, sentiamo sempre il richiamo irresistibile di tornarci.
(Autoproduzione, 2024)
1. A Walk In The Sky
2. Crickets
3. This Place Was A Shelter
4. We Are Saved
5. Insecure
6. Forgotten