Tradizioni e storia di vari territori sono sempre state tematiche comuni nel black metal, indipendentemente dal periodo visto che se ne trovano esempi sia negli anni ’90 (i primi Ulver o i Windir) che in tempi più recenti, come i nostrani Selvans. Spostando i riflettori sul Sudamerica troviamo un progetto che segue questa corrente, pur appartenendo a una scena in cui sono ben più comuni riferimenti esoterici e occulti: si tratta di Ysyry Mollvün. La band nasce dalla mente dell’argentino Zupai Ulen nel 2012, ma dal 2015 può contare nel supporto di una figura di notevole rilievo quale Antonio Sanna, mastermind di Downfall of Nur, in questa sede produttore e compositore delle parti folk. Passano gli anni e a un decennio dalla fondazione del progetto arriva finalmente il debutto, disco omonimo pubblicato da Avantgarde Music.
Il fulcro dei pezzi è un’immersione nella tradizione del Sud America, con il moniker stesso che è formato da due parole a essa ricollegabili: Ysyry, ovvero “fiume” nel linguaggio del popolo Guaraní, e Mollvün, nella lingua dei Selk’nam. L’album si divide in sette tracce che ripercorrono un concept legato alla storia di K’aux, essere un tempo umano che è stato educato dalle divinità dei Selk’nam al fine di insegnare alle tribù come sopravvivere alle condizioni particolarmente rigide dell’estremo sud del mondo. Il pregio principale delle composizioni è quello di riuscire a seguire il concept in maniera fedele, evolvendo in base alle sue connotazioni. Difatti, l’opener “K’aux Rise” è un brano che non si abbandona subito alla freddezza del black metal che caratterizzerà altri passaggi, però anche nelle parti folk inizia a fare intravedere accenni delle sfumature cupe che seguiranno, mentre è chiara fin dalla partenza l’influenza di Downfall of Nur e delle band affini, filone dell’atmospheric black in cui il progetto argentino si ricava un suo spazio. Successivamente, tornando al racconto su cui si basa il lavoro, K’aux tradisce la fiducia delle divinità e per questo viene condannato a giacere eternamente nel centro della terra, né vivo né morto, punito da Espíritu del Monte, il quale dopo mille anni si rende conto di come solo il dio della morte, San La Muerte, sia ancora rimasto sul pianeta. A quel punto, K’aux viene risvegliato e gli vengono mostrate le conseguenze dei suoi gesti. Questa evoluzione del concept prende vita in musica, si sentono echi disperati e pieni d’angoscia, che paiono raccontare la vita che man mano viene sopraffatta dal clima estremo e la successiva desolazione. Le atmosfere evocative sono accompagnate da un songwriting vario, tra pezzi in cui risaltano intermezzi in acustico ben contestualizzati (“K’aux Talks To Espirito Del Monte”) e altri dall’evidente impronta melodica (“K’aux Lament”). L’epilogo dell’ascolto è composto dalle due parti di “San La Muerte”, i cui tratti caratteristici sono diametralmente opposti. Prima troviamo un black metal spietato e dai ritmi serrati, in cui le parti folk sono ausiliarie, mentre subito dopo sono gli strumenti tradizionali a fare da padroni, con l’unico accenno metal che è costituito dai riff di chitarra in secondo piano.
Il lavoro curato da Zupai Ulen e Antonio Sanna sorprende per la sua natura evocativa e gelida ed è valorizzato dal concept curato e interessante che viene trattato. Il progetto argentino dimostra con questo debutto di avere parecchio potenziale a disposizione, il black metal che viene proposto segue fedelmente le caratteristiche tipiche del genere, armandosi della giusta dose di eterogeneità che rende l’ascolto fluido.
(Avantgarde Music, 2022)
1. K’aux Rise
2. K’aux See Reconquista Ysyry
3. K’aux Talks To Espirito Del Monte
4. K’aux Lament
5. San La Muerte I
6. San La Muerte II