Oggi vi racconteremo di quanto il mondo della musica sia diventato un marasma di moniker, tags e streaming digital files in cui l’ascoltatore si disorienta quotidianamente; dalle infinite mail inbox di una redazione musicale ai link condivisi su Facebook da sconosciuti risulta sempre più difficile trovare qualcosa che catturi davvero la nostra attenzione. In alcuni casi basta seguire qualche valida realtà indipendente per scoprire nuovi tesori musicali, specialmente se questi irrompono impetuosamente come un fulmine che cade dal cielo. Non stiamo parlando di nessun teatrino architettato da major o di marketing fine a se stesso, ma della semplice quanto geniale espressione di Manuel Gagneux, nativo svizzero trapiantato a New York nonché unico ideatore del progetto Zeal and Ardor.
Dopo un esordio autoprodotto dal titolo omonimo che già presentava gli elementi essenziali approfonditi in “Devil Is Fine”, ma che ancora manteneva un gusto acerbo e poco incisivo, brillando più che altro per una prestazione vocale in bilico tra Ben Harper e Tricky, ecco il fulmine di cui accennavamo poc’anzi, un fulmine che ci cade in testa e non può certo passare inosservato. Potrete certamente rimanere straniti ascoltando questo inedito mix di soul, elettronica e black metal, ma senza proclamarvi fanatici di weird e avantgarde music ascolterete se non altro qualcosa di unico per nulla pesante all’ascolto ma ben calibrato persino nella sua durata: meno di venticinque minuti che scorrono fluidamente e che si rivelano capaci di trasportare l’ascoltatore dai campi di cotone americani in cui vigeva la schiavitù fino alla fredda Norvegia di Emperor e Burzum.
Tutte le tracce hanno una propria anima (nera) e nessuna supera i 3:33 minuti, spaziando dal retro-sounding a moderni riff di chitarra fino al simil-dub/synth pop di “Sacrilegium I, II e III”, unici tre episodi strumentali del lotto. Ciò che ci sentiamo di segnalare è però la spiccata genialità di tracce come “Come on down” e “Blood in the River”: evocative, travolgenti e indubbiamente memorabili nei momenti in cui appaiono sacrali (o forse meglio dire profani) canti gospel afro-americani miscelati a del tagliente tremolo picking, avvolgenti parti di synth e urla sofferenti che manifestano una chiara venerazione al demonio.
“a good god is a dead one – a good lord is the one that brings the fire –
the riverbed will run red with the blood of the saints and the blood of the holy”
In definitiva, che si parli di blackened blues o django metal poco importa: “Devil Is Fine” ha centrato l’obiettivo: è emerso sapientemente dal marasma e si qualifica comodamente in prima fila tra gli album dell’ anno.
(Reflections Records, 2016)
1. Devil Is Fine
2. In Ashes
3. Sacrilegium I
4. Come On Down
5. Children’s Summon
6. Sacrilegium II
7. Blood In The River
8. What Is A Killer Like You Gonna Do Here?
9. Sacrliegium III