Una volta Umberto Eco disse una frase che suonò impietosa, tanta era la solidità del suo pensiero, la mira precisa al bersaglio grosso: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”. Io da qualche tempo ho in parte mutuato le sue parole, affermando che prima avevamo lo scemo del villaggio, che era anche simpatico da ascoltare, ora abbiamo un intero villaggio di scemi. Perché questa piccola premessa che tanto sembra lontana dalla musica? Semplice: tanto lontana non lo è, anzi. Mi sono sempre sentito privilegiato ad ascoltare metal e affini, un genere così distante e digiuno da certe dinamiche tritacarni, da certi teatrini di stucchevole natura, da lotte intestine – finte o vere che fossero – ma anche dalla ricerca spasmodica di una forma che annienta una sostanza di per sé vacua. Negli ultimi anni i social media hanno esacerbato il tutto: si parla meno di musica, si parla troppo di altro. E queste ondate di schifo, piano piano, sono arrivate a toccare le spiagge del nostro amato genere musicale. Che per anni abbiamo esaltato proprio in virtù della sua libertà, del suo sapersi evolvere, contaminare, amalgamare. In questi mesi ho letto un sacco di parole sbagliate – le opinioni sono una cosa, le cazzate tutt’altro – su svariate band che hanno fatto dell’originalità, della sperimentazione, del coraggio, i propri vessilli.
PARACULAGGINE: sostantivo femminile; Furberia, Opportunismo.
FINTO: aggettivo e sostantivo maschile; Eseguito o sostituito artificiosamente a scopo simulatorio; non vero, non naturale, non autentico. Diretto a trarre in inganno, simulato.
PLASTICOSO: non esiste, è una parola inventata. Se esistesse plasticosità, dovrebbe allora anche esistere plasticoso. Ma purtroppo nei dizionari questa parola manca. Provate a cercare su Google l’aggettivo inesistente plasticoso e troverete quasi 100.000 (centomila) risultati! Se da un lato la cultura non è contagiosa, dall’altro il virus dell’ignoranza colpisce e decima la popolazione. Nessun caso isolato, ma una malattia che si allarga e non risparmia nessuno. E quindi torniamo all’incipit di cui sopra. Ma io francamente, me ne infischio (cit.), rifiuto l’offerta e vado avanti (altra citazione, meno colta ma figlia dei nostri tempi) e mi godo tutti questi dischi maledetti. Come l’intera discografia targata Zeal & Ardor, un fulmine a cielo aperto, un secondo sole che arriva ad illuminare ogni cosa. Ho tra le mani il nuovo album, GREIF, e sono emozionato come un ragazzino al primo rapporto sessuale. I precedenti dischi, tutti fenomenali, hanno scritto in maniera indelebile che la Musica non ha confini. Lingue diverse, ritmi agli antipodi, un’unica anima. Difatti il mastermind della band, Manuel Gagneux, svizzero di nascita, americano di adozione, cittadino del mondo per natura (come tutti noi del resto e tanti saluti a chi vuole mettere muri, barriere, blocchi) fin dal primissimo album autoprodotto, e acerbo, ha gettato nel calderone due mondi musicali che, almeno sulla carta, suonano così respingenti tra loro: la black music (in tutte le sue innumerevoli divagazioni) e il black metal (idem come la precedente). Ma soprattutto ha unito due filosofie che da sempre sono in contrasto, la preghiera e la blasfemia, l’invocare aiuto dal cielo, il dileggiare la fede, di fatto plasmando una creatura nuova, inedita.
MIRACOLO: sostantivo maschile; Fatto che si ritiene dovuto a un intervento soprannaturale, in quanto supera i limiti delle normali prevedibilità dell’accadere o va oltre le possibilità dell’azione umana.
ABNEGAZIONE: sostantivo femminile; La disposizione spirituale di chi rinuncia a far prevalere istinti, desideri, interessi personali, per motivi superiori, spec. di ordine religioso o sociale.
Ecco chi è in realtà Manuel Gagneux, ecco cosa sono in concreto gli Zeal & Ardor. Una moneta ritta in piedi, che gira, gira, gira. La musica spirituale, profonda e calda, accogliente, un cucchiaio che leviga le interiora degli schiavi, che ne estrae la polpa, diventa sollievo per la gola che intona gospel, spiritual, blues. La musica infernale, anch’essa profonda ma gelida, indisponente al prossimo, un dente marcio che morde gli ultimi brandelli, diventa sofferenza per una gola riarsa, ed ecco lo screaming, l’uomo che diventa bestia. La moneta gira, le due facce si mescolano.
“We spent years to come here
But we didn’t come alone, no, no” – “the Bird, the Lion and the Wildkin”
Apre il disco e basta una strofa per spaccare il cuore. Una manciata di secondi e siamo già a casa.
“A fool is the person who truly reverts to the law
The law” – “Fend You Off”
Non c’è metal estremo, è semplicemente un grandioso pezzo rock. Nero nell’animo, nero nel suo esaltarsi sul finale, un midollo che deflagra.
“As we’ll never know the difference if we didn’t feast
And we’ll never make a promise if we didn’t lie?” – “Kilonova”
Una hit incredibile! Pop, rock, spruzzatine di elettronica, la voce di Gagneux che è sempre una fottuta mano santa sul capo di qualcuno perso nel peggiori dei pianti.
KILONOVA: sostantivo femminile; esplosione astronomica che si verifica quando due oggetti celesti superdensi, come stelle di neutroni o buchi neri, si fondono tra loro, dando origine alle condizioni fisiche più estreme dell’universo. Ditemi voi se non è il manifesto dell’Arte degli Zeal & Ardor.
“Don’t scream in vain
Da-da
Don’t scream in vain
Da-da, da-da
Don’t scream in vain
Da-da, da-da” – “are you the only one now?”
L’acqua gelida, l’acqua bollente: miscelare accuratamente per non ledere i nostri cari, l’abbraccio che sa di buono, che sa di addio. Mastice e distacco. La poesia e la delicatezza in un unico brano.
“If I make it through the night
If I make it to the place
Go home, my friend
Go home, my friend” – “Go home my friend”
Torna la forma “domanda e risposta” tipica degli spiritual, musica scarna di sottofondo, elettronica che sa di malefatte notturne. Per ora la band pare abbandonare la Fiamma Nera, privilegiando l’ariosità pop e modern prog.
“I spin a thread that you can’t see
A web of thoughts best left unclean” – “Clawing Out”
I toni si alzano, qui esce un metal cattivo, alienante nel suo incedere con una elettronica marziale, asciutta. Una serie di colpi chirurgici, sempre sullo stesso obiettivo. Ouch, male!
OPPOSTO: sostantivo maschile; Di cose in contrasto con altre o che tendono alla reciproca esclusione; contrario, antitetico, divergente. Perché è sempre così con questa band. D’altronde se ti chiami zelo e ardore, non ci vuole una scienza per comprenderne il caleidoscopio che risiede nella penna del Nostro. Si torna sempre al villaggio degli scemi, un resort all inclusive. Gli opposti sono due fette di pane, tu che ascolti stai nel mezzo, silenzio e fatti mangiare. Prima l’irruenza di “Clawing Out”, poi il barcollare hip hop e pop e oh oh oh, yeah, di “Disease”.
“Don’t go long now
You’re trying to be fine but you’re another disease
Don’t stay long, child
Insisting that you’re kind but” – “Disease”
Il disco procede, pare che il bicchiere sia colmo a metà, manca il veleno, resta ugualmente rosso sangue. Il genietto, figlio di padre svizzero, biologo per lavoro, percussionista per passione e di madre afroamericana, cantante jazz, sembra percorrere sentieri più placidi, la Natura gentile che non disturba e non va disturbata. Ma forse, al limitare del bosco, qualcosa è lì che brama nell’ombra.
“All is said, the devil ain’t dead
We won’t sleep till the beast is fed
Now you hope the devil don’t know” – “369”
Infanzia e adolescenza, un sali e scendi tra picchi altissimi di felicità e abissi di depressione e sgomento. Un giovane smarrito, uno strumento, scelto malamente – il sassofono – poi la chitarra, gli squat, la ricerca del dolore nel death metal, nel grindcore. Un block notes colmo di pensieri, matasse ancora lontane dall’essere districate – che poi, chi può mai dirsi risolto nella vita? – il razzismo, la fuga mentale, New York, il dna, le radici che spaccano i marciapiedi che credevamo sicuri, la domanda giusta, la scintilla per tutto: “Che tipo di musica potrei suonare secondo voi?“
“For the record, I don’t feel anymore
Baffled by the thrill of it all” – “Thrill”
E tu balla, libero, lo sguardo al cielo, forse pioverà, sono lacrime, gioia, passato, dolore, futuro. Tutto si mischia, la musica è benzina, un fuoco che spegne altro fuoco.
FIELE: sostantivo maschile; Liquido di colore giallo-verdastro e di sapore amarissimo, secreto dal fegato; bile, detto spec. di animali.
AUTUNNO: sostantivo maschile; corrisponde alla terra, tra le età della vita alla maturità adulta e alla vecchiaia, tra i punti cardinali all’Ovest, fra i temperamenti umorali al malinconico, tra le parti della giornata alla sera, tra le fasi dell’opera alchemica alla rubedo. Il ritmo canzonatorio, un riff circolare, la-la-la-la-la-la-la, tutto sguaiato, lascivo, volgare.
“For the fall
To sugarcoat it all
To make it have the gall
To make you feel alone” – “Sugarcoat”
Alabama. Bergen. Non esiste più nulla. Manuel, fratello ti chiamo per nome, hai creato una terra tutta tua. Eden. Caronte conosce la strada.
“When the garden will fade
Will it harden your faith?
Is there truth in their gesture?” – “Solace”
MARCHIATO: aggettivo; Di persona, fatto segno di una riprovazione generale e incancellabile.
Allora tutto è inutile. l’ombra è il luogo, le ferite gli autografi, schiaffi come applausi, mentre la band si destreggia tra blues e rock, gospel e nu metal. La Musica di Satana, preghiera e bestemmia, zucchero e sale.
“It’s gonna burn, don’t erase
We’ll be the first, home at last
Nobody else, hide in shade
Will leave a trace” – “Hide In Shade”
PEREGRINARE: verbo intransitivo; Andare vagando qua e là, spec. in regioni lontane.
OPPRESSIONE: sostantivo femminile; Sopraffazione continuata, negatrice dei diritti elementari dell’uomo o del sentimento cristiano della carità.
FINALE: aggettivo; Della fine, che viene alla fine, cioè al termine di qualche cosa, quindi ultimo, conclusivo.
“As long as they come, hold your bonеs to break ‘em” – “to my ilk”
La liturgia blues, snap your fingers, sorrisi, polvere, sclere rosse, tramonto. Un addio? Un arrivederci? Un bacio dal sapore inedito.
E si chiude il disco. Un nuovo inizio, la quadratura del cerchio, la pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno. Zeal & Ardor è ora una creatura (de)finita nei minimi dettagli. Nei massimi splendori. Qui non si tratta di pensare male di un Artista, di dire la peggio cosa in cerca di una rivalsa per una propria esistenza valida come merda lasciata seccare al sole. Qui si tratta di stare in silenzio, di girare la testa da un’altra parte, un mondo intero è lì che vi aspetta. Perché se la quota emozionale è una chimera, sempre lo sarà. Trovare chiuso quando elargivano sangue fresco, un dramma emofiliaco, sliding door.
DER VOGEL GREIF: un gigantesco animale polimorfo alto tre metri, che unisce i corpi di serpente, aquila, leone, è lo spirito libero, l’anticonformismo. Il grifone: custodia e vigilanza. Ma anche perfezione e potenza. Tutto questo è GREIF. Tutto questo è il percorso di Manuel Gagneux. Non so se c’è da pregare o da ringraziare o da sperare o cosa. L’unica cosa che vorrei, adesso, è camminare scalzo sulla terra umida. Alfa e Omega.
(Redacted GmbH, 2024)
1. the Bird, the Lion and the Wildkin
2. Fend You Off
3. Kilonova
4. are you the only one now?
5. Go home my friend
6. Clawing Out
7. Disease
8. 369
9. Thrill
10. une ville vide
11. Sugarcoat
12. Solace
13. Hide in Shade
14. to my ilk