Cari signori, siamo nuovamente di fronte ad un gruppo che mena duro. Al primo ascolto, effettuato nel puzzolente abitacolo della mia utilitaria, a stento ho trattenuto una bestemmia all’esplodere del primo pezzo dopo l’intro di chitarra. Sono tante le cose che mi passano per la testa mentre torno a casa dal lavoro in macchina: il tipo in coda di fianco a me riuscirà a sentire la musica che ascolto a tutto volume? Faccio la figura del tamarro se giro con la musica alta? Cosa mangerò per pranzo? E oggi mi chiedo: cosa si mangerà mai in Veneto, visto che le band che arrivano da quelle parti – inclusi questi Zeit – sembrano tutte cresciute a pane e violenza?
Ma botte e pranzi a parte, parliamo di musica: arrivato a casa ho rimesso su The World Is Nothing e a motore spento e stomaco pieno, le mie impressioni iniziali hanno virato verso altri lidi. Avete mai giocato a scarabeo? Il gioco da tavola dove per vincere dovete comporre parole sensate con le lettere pescate da un sacchetto e disposte sul tabellone? Forse siete troppo giovani o troppo poco pantofolai. Gli Zeit devono essersi cimentati in questo passatempo con la perizia e la pazienza di un linguista, ma invece di formare parole originali coi tassellini bianchi del celeberrimo gioco, hanno imbracciato gli strumenti e sembrano aver smembrato il vocabolario sonico dei Converge uscendosene con uno nuovo ed equipollente, una sorta di frasario universalmente riconoscibile per chi mastica da più o meno vent’anni la musica del quartetto bostoniano, ma scritto in forma di anagramma o comunque scombinato, scrambled, per l’appunto.
Cosa significa tutto ciò? Significa che The World Is Nothing è un disco della madonna, dico sul serio, soprattutto per chi si è avvicinato da pochissimo al violento mondo del post-hc, ma forse un po’ meno per quelli che hanno seguito gli sviluppi e gli inviluppi del genere-non-genere negli ultimi dieci-quindici anni, perché questa musica può far pensare ad una trasposizione non letterale molto ben studiata e strutturata dei dischi dei bostoniani a partire da Jane Doe in poi, ma resta pur sempre una parafrasi. Si parte con “World And Distances”, intro cupa di chitarra a cui segue l’esplosione su breaks della sezione ritmica e uno sviluppo tipicamente hardcore, “Weaving” tiene il ritmo alto coi suoi due minuti scarsi di blast-beats e stacchi frenetici, si arriva poi alla centrale “Chasing The Void”, preceduta da una breve intro e sostenuta da batteria ficcante come d’altronde in tutti gli altri pezzi. Le restanti tracce gettano altra benzina sul fuoco e alimentano il furore delle precedenti, lasciando zero spazio a sprazzi melodici o momenti di respiro, e in definitiva è inutile cercare di isolare e descrivere altri momenti salienti tanto è satura di licks e tricks la musica sprigionata dal quartetto veneto.
I riff sono tutti fighi, ma è anche vero che rimandano alla parabola decennale del sacro mostro Ballou entro la quale il chitarrista ha saputo riscrivere i dettami e donare un suono nuovo ad un genere. Il gusto è molto simile: per le dissonanze, per l’acidità di certi fraseggi, per l’utilizzo di tapping e soluzioni al limite del tecnicismo volte ad impreziosire un genere di base violento ma che sa regalare sorprese e chicche inaudite, anche se si distingue per la predilezione (e talvolta abuso) di riff che risolvono su tonalità acute, abrasive e spesso sfrigolanti in bending.
Lo stesso si può dire della batteria. È quanto di più ipercinetico, chirurgico e potente abbia sentito in ambito nostrano e non solo da un bel pezzo a questa parte, ma l’impostazione è di nuovo quella: il canovaccio-Koller è stato assimilato alla perfezione in ogni sua parte, dalle sfuriate hardcore e powerviolence ai break pesanti, dagli incastri al fulmicotone ai controtempi inattesi, ed il drumming fornisce la struttura perfetta per sorreggere e trainare ciascun brano, eppure tutto – scusate il gioco di parole – converge verso uno stile molto riconoscibile che difficilmente può essersi sviluppato in una campana di vetro.
Questo non vuol comunque dire che gli Zeit siano delle fotocopie, perché in un momento storico in cui difficilmente ci si inventa qualcosa di nuovo, lo sarebbero tutti. Piuttosto è lecito immaginare siano cresciuti a pane e Axe To Fall, ad esempio, e per questo abbiano imparato un linguaggio tanto naturale da essere diventato la loro madre lingua: credo che decine di chitarristi, bassisti e batteristi darebbero un occhio della testa per buttare giù e suonare a quella velocità e a quella precisione i loro riff, ma non è proprio questo il punto. Il punto è che non è sempre facile spingersi oltre alle proprie appurate capacità e superare i maestri. O forse sono io a sbagliarmi e ad essere troppo ottuso da non capire che semplicemente non ve n’è il caso quando si è già maledettamente bravi.
I suoni sembrano viaggiare su un binario più personale, con una chitarra molto presente un po’ a scapito della sezione ritmica, coesa ma leggermente più indietro, e una voce potente e graffiante che fa il suo lavoro completando il quadretto claustrofobico evocato dagli strumenti. Un plauso meritato va anche alla grafica cupa e ipnotica ma perfettamente austera, a cura dei ragazzi di Solo Macello, e ai testi ricercati dal taglio filosofico e visionario.
Ora, le considerazioni che mi sorgono spontanee sono due: riconoscere le capacità tecniche sopraffine del combo veneto (perché ascoltandoli bene, gli Zeit di The World Is Nothing sono – per un aficionado – addirittura meglio dei Converge: in fondo, dove trovate qualcuno che sappia riproporre così bene lo scibile dei bostoniani in un concentrato iperproteico di mezz’ora scarsa?) e lodarne l’impareggiabilità, o attenersi alla genesi del genere in cui gli Zeit possono collocarsi, prendere atto della somiglianza ingombrante coi capostipiti di un filone diventato ormai un trend e catalogare il progetto nella sezione dejà-vu, seppur coi controcazzi. A voi il compito di far oscillare l’ago della bilancia dalla parte che preferite. Ecco allora un voto che faccio fatica a sintetizzare, perché nella mia testa è la media esatta tra un 9 per le indiscusse capacità e un 5 per l’originalità, in una pagella che potrebbe essere priva di debiti, viste le premesse.
(Trivel Records, 5feetUnder Records, Assurd Records, Cave Canem D.i.y., Dingleberry Records, Dischi Bervisti, Icore Produzioni, Indelirium Records, Martire Records, 2015)
01. World and Distances
02.Weaving
03. Distance and Difference
04. Disguised
05. Chasing the Void
06. Tautologies
07. Lack of Parts
08. No Conception
09. The Walls of the World
10. Past Meanings