Quando si ascolta una band si commette un errore tremendo: catalogarla in un genere. Al di là delle comodità pratiche che etichette come rock, metal, jazz ed affini svolgono nel farsi un’idea della proposta di una band, l’ascoltatore medio una volta deciso il genere d’appartenenza della band o dell’artista difficilmente si smuoverà dalla sua convinzione. Aspettarsi che un artista persista sempre sullo stesso cammino dimostra la chiusura mentale dei soggetti cui arriva la musica, veicolo espressivo unico e spesso costretto in restringimenti idioti. Gli Zu da questo punto di vista hanno sempre espresso la loro totale libertà compositiva senza volersi etichettare in un modo o in un altro, e il nuovo nato Jathor consolida splendidamente questo concetto.
Lasciate da parte le dissonanze e l’irruenza dei Nostri, perché Jhator è un disco fondamentalmente ambient. Ebbene sì, in questa nuova opera (che tra l’altro esce sotto House Of Mythology) si respira un’atmosfera eterea travolgente, fatta di lievi variazioni e moltissimi elementi da scoprire mano a mano nell’ascolto. Gli strumenti si manifestano in forma riconoscibile solo in brevi tratti di questi due pezzi dalla notevole durata, mentre per la maggior parte del tempo si alternano e si sovrappongono droni e suoni delicati come difficilmente ci saremmo potuti aspettare da un trio facilmente paragonabile ad un bulldozer.
Certamente questo ultimo parto degli Zu creerà ancora più divisione tra gli ascoltatori, specialmente tra chi è ancora insoddisfatto della dipartita di Battaglia, perché se Cortar Todo aveva ancora evidenti legami stilistici con i precedenti lavori Jhator apre un’altra (enorme) via nello stile dei Nostri. Un lavoro all’apparenza sterile e poco significativo, ma che se ascoltato con orecchio attento svela trame ed elementi inaspettati; dategli una possibilità.
(House of Mythology, 2017)
1. A Sky Burial
2. The Dwaning Moon of the Mind