Formatisi nel 1998 a Catania, i None Of Us portano avanti da quasi vent’anni un discorso fatto di carisma da vendere, alte distorsioni, genuinità e perseveranza. Con Black Foundation (di cui potete leggere la recensione qui), uscito il 20 novembre per This Is Core Records, i cinque siciliani si presentano come una band definitivamente matura, in grado di attirare attorno a sé sia le giuste attenzioni mediatiche sia l’interesse del pubblico, nonostante tutte le difficoltà del suonare musica inedita in una regione sfortunata – per tanti motivi che non è il caso di elencare in questa sede. Di questo e di altro ancora si è parlato nella nostra chiacchierata con Filippo Basile, chitarrista, che ci risponde esattamente come suona: con l’esperienza di vent’anni e la grinta dei vent’anni.
Benvenuti sulle pagine virtuali di Grind On The Road. Per chi non vi conosce: chi sono i None Of Us?
Una band che suona a volumi troppo alti, distorsioni al massimo gain possibile un rock & roll integro, senza fronzoli, coperture o finzioni. Le definizioni ci stanno strette non per una questione di snobismo di cui, davvero, non siamo capaci, ma perché sentiamo la libertà di fare quello che ci pare con gli strumenti addosso: abbiamo trovato, dopo anni, la nostra cifra stilistica, la nostra estetica sonora. Siamo una band onesta, che ha fatto dell’esibizione dal vivo un’esigenza piuttosto che un’opportunità. Facciamo dischi per avere l’opportunità di suonarli il più possibile dal vivo, la promozione di un album nuovo è la scusa migliore che conosciamo per intensificare l’attività live. Se potessimo, inviteremmo il pubblico in sala prove ma, nonostante non conosciamo folle oceaniche, la nostra sala prove va bene, a stento, per noi, gli strumenti e la roba da mangiare che, sia chiaro, non manca mai.
Black Foundation è il vostro terzo album sulla lunga distanza e sembra in definitiva il più maturo del lotto. Nonostante abbiate trovato il vostro sound personale, ci sono delle band che vi hanno ispirato particolarmente? Sono le stesse che vi influenzavano in passato o avete cambiato gusti?
Rispondere non è semplicissimo, in considerazione del fatto che l’origine dei brani, tranne alcuni casi per questo disco, è sempre di Davide (il nostro cantante) e per quanto ci conosciamo da vent’anni e sappia che tipo di musica ascolti, non so cosa lo influenzi particolarmente o cosa lo abbia ispirato maggiormente per la stesura di questi brani. Diciamo che, data la nostra età anagrafica, è difficile staccarsi troppo dalle proprie origini, anche perché, in tutta onestà, non sentiamo in giro musica che possa, realisticamente, soppiantare quella sulla quale ci siamo formati. La sensazione è che le nostre influenze rimandino a band che hanno in comune due cose: l’approccio animalesco alla musica e un forte rispetto per la melodia. Se dovessi farti due nomi per tutti, direi che i Deftones e i Faith No More continuino ad essere la sua (e quindi, la nostra) principale fonte di ispirazione. Riascoltando il disco, per esempio, alcuni arrangiamenti di chitarra rimandano in maniera plateale ai Foo Fighters, ma è stato del tutto inconscio e spontaneo.
A prima vista sembra esserci una connessione tra il titolo dell’album, l’artwork e il titolo del primo singolo, “Bleeding In The Ashes”. Si tratta di un effetto voluto? Che significato hanno per voi?
No, non c’è alcuna connessione voluta: il titolo del brano è nato prima di ogni altra cosa, il titolo del disco prima della cover di copertina, la scelta di utilizzare cenere lavica è stata del fotografo, Alberto Mantegna, che non sapeva, ovviamente, di “Bleeding In The Ashes”, la scelta di girare il video sull’Etna è un idea di Beppe Platania (director del video e boss della nostra etichetta, This is Core Records). È capitato, i nostri stati subcoscienti devono essere stati particolarmente solidali per partorire questi elementi in maniera così omologa, ma davvero non c’è stato nulla di precostituito. Potrei dirti che “è la mamma Etna a influenzarci”, ma sarebbe una banalità di cui non vogliamo macchiarci che, fra le altre cose, non pensiamo. Se devo cercare un significato, credo che l’unico che davvero aleggia su tutto questo nuovo lavoro è risalita: al netto dell’apparente oscurità del titolo e dell’immagine di copertina, quel viso di donna (quello splendidamente evocativo di Giuliana Lantino che ha amichevolmente prestato la sua fisicità anche al nostro primo video) non è quello di una donna che sta per rimanere soffocata, ma di una che cerca, disperatamente, di respirare e risalire a vivere. Noi ci sentiamo un po’ così, dal punto di vista sociale, storico, musicale. Probabilmente questa, a livello inconscio, è stata la primaria fonte di ispirazione: la voglia di non smettere di respirare, nonostante tutto.
Come vi è venuto in mente di coverizzare un brano diametralmente opposto al vostro sound, cioè “12 O’ Clock High”dei Dirty Looks?
L’idea è stata di Davide. E’ la seconda cover che trasferiamo su disco, dopo “Debaser”, dei Pixies presente su Further Hangin’ Menace. Suonavamo un’altra cover, tanti anni fa, ma che non è mai finita su disco, “From Out Of Nowhere” dei Faith No More. Il perché non sia mai finita su disco è il motivo per cui abbiamo scelto le altre due: facevamo From Out Of Nowhere esattamente (oddio, esattamente) come i Faith No More, non riuscivamo ad aggiungere un larsen nostro, non una nota in più o in meno. Era esaltante farla, ma in qualche maniera non era soddisfacente, appagante: era come tornare adolescenti e suonare un brano del nostro idolo musicale. Non era creativo. Infatti smettemmo di riproporla, ci faceva sentire una cover band, seppure per pochi minuti. Abbiamo quindi deciso che proporre una cover doveva significare coglierne il senso più vicino ai None of Us, per trasformarla: Davide ha scelto due brani che “urlano”, sia musicalmente che vocalmente. Se fossero prodotte oggi, sarebbero due brani assolutamente hard rock e potenti, ne sono convinto. Noi le abbiamo semplicemente attualizzate e personalizzate. In tutta sincerità, credo che siano tra le cose migliori che abbiamo mai fatto.
Dopo un album totalmente autoprodotto (Vita, 2011) vi siete accasati presso This Is Core Records. Com’è avvenuto il contatto? Come vi state trovando?
Ci stiamo trovando benissimo, sono persone con esperienza e Beppe Platania ha origini siciliane, il che aiuta sotto ogni punto di vista. Ci hanno contattato loro, dopo aver mandato “curriculum” un po’ dovunque, ci hanno spiegato cosa avrebbero fatto, come e quando: ci è sembrato tutto credibile e fino ad ora non hanno sbagliato un colpo. Sanno di avere a che fare con gente con un certo di tipo di bagaglio, c’è rispetto reciproco. Per noi significa molto.
Avete alle spalle diversi tour italiani, oltre ad esperienze internazionali come le date inglesi del 2007. Come pensate di promuovere questo nuovo lavoro dal punto di vista concertistico?
Speriamo di suonare quanto più possibile, sappiamo perfettamente che la nostra dimensione naturale è quella dal vivo, noi non “proviamo” i concerti in sala prove, suoniamo ogni volta come se fossimo davanti ad un’audience, piccola o grande che sia. Chi ci sente dal vivo rimane piacevolmente colpito nel vedere che non c’è proprio nulla di costruito a tavolino, la conseguenza logica e naturale è che chi ci vede suonare live si interessa e, di norma, non ci lascia più. Le recensioni, le interviste, sono un ottimo modo per promuovere ciò che fai, ma nel nostro caso il palco è il miglior biglietto da visita: conseguentemente cercheremo di calcare quanti più palchi possibili. Abbiamo già un planning che ci dovrebbe portare a suonare in Italia, poi in Inghilterra e in Russia, al momento. Speriamo che duri il maggior tempo possibile.
Chi ha avuto occasione di assistere ad un vostro live sa che si tratta della vostra dimensione ideale. L’energia, il muro sonoro e il senso di unità con il pubblico riescono a catturare anche i meno avvezzi a certe sonorità. Quanto conta per voi questo aspetto? Credete sia un’attitudine naturale o è frutto di un processo meditato?
Per noi è assolutamente fondamentale: se non avessimo la prospettiva di suonare in pubblico, difficilmente continueremmo a fare dischi, credo. E’ un’attitudine che abbiamo sempre avuto. Come ti dicevo prima, ogni prova per noi è un concerto, ed ogni concerto è una battaglia, con noi stessi, prima che con il pubblico. Abbiamo, ormai, carenze di ossigeno sul palco, ma questo non ci ha mai fermato: più vedo il pubblico esaltarsi, più mi esalto io e più pesto sulle corde della chitarra. Dopo un certo numero di concerti sai prima cosa puoi permetterti e cosa è meglio evitare, guardo sempre gli altri mentre suono, se loro si sbattono, io mi devo sbattere il doppio. Credo che sia così anche per loro. Ho sempre ammirato artisti che avevano un’attitudine live mostruosa. Ho imparato da questi. Sono andato a vedere concerti di artisti che non riproponevano pedissequamente le proprie canzoni ma ti offrivano uno spettacolo, pieno, completo, sangue sudore e lacrime. Non riesco ad immaginarmi sul palco in maniera differente. Alla fine di ogni nostro concerto, più che farci i complimenti tra di noi, ci diciamo “e anche per oggi non siamo morti.”.
Il vostro genere vi porta a trovarvi in un limbo, ai confini sia della scena metal sia del rock più radiofonico. Avete mai riscontrato difficoltà nel ritagliarvi la vostra fetta di pubblico?
Ogni difficoltà che abbiamo incontrato, in qualche maniera, è sempre dipesa da noi. Abbiamo fatto delle buone cose, ne siamo assolutamente consapevoli, ma questo non toglie che avremmo potuto farle meglio. Non ci siamo mai prefissati un genere musicale da proporre o da riproporre, abbiamo sempre cercato di essere noi stessi, qualunque cosa costasse. Il prezzo che abbiamo pagato o che paghiamo, cioè quella difficoltà, è ampiamente compensato dal fatto che siamo ancora soddisfatti di ogni nostro singolo brano, di ogni singolo passo fatto in avanti, coscienti di quelli che abbiamo fatto, per sole nostre responsabilità, indietro.
Siete in attività dal ’98 con una line-up quasi del tutto stabile, nonostante tutte le contingenze del caso e la provenienza geografica sfavorevole. Quanta tenacia è necessaria per “portare avanti la baracca”, soprattutto nella situazione in cui versa oggi il mondo della musica? Cosa vuol dire per voi essere musicisti rock/metal in Sicilia?
Io mi ritengo un uomo molto fortunato: prima di suonare con i ragazzi della band, li andavo a vedere suonare dal vivo e volevo avere la loro attitudine, vent’anni fa cercavano già il meglio, di dare e di avere il meglio da quello che facevano, erano già professionali, seppur in maniera giovanile. Quando mi hanno chiesto di suonare con loro eravamo già amici, e questo rapporto si è consolidato, negli ultimi due decenni. Fuori da ogni banale retorica, siamo una famiglia vera. Non ci vuole nessuna tenacia a mandare avanti la baracca, quando quella baracca è una delle ragioni migliori che ti fanno alzare dal letto, quando dopo una giornata di merda, di frustrazioni ti chiudi a sei metri sotto terra e ricominci a respirare aria buona. Quando sto in mezzo a questi ragazzi, in qualche maniera, mi sento protetto. Detto questo, lo stato del mondo della musica può essere racchiuso, metaforicamente, in quello che è diventato MTV: spazzatura. Per quanto concerne la Sicilia, poco cambia: una cosa facciamo meglio degli altri, essere provinciali. Non abbiamo la minima voglia di inventare nulla, di rischiare, di proporre idee nuove. Vedo ragazzi suonare così bene ma sprecare così male quella tecnica per fare TRIBUTI che li vorrei prendere a calci in culo con dolcezza per fargli capire cosa significa farsi migliaia di chilometri in macchina per sentire gente che applaude la TUA musica, non quella degli altri, la tua. Solo che a volte mi sembra tutto inutile. Vorrei, però, fare una menzione per una band di cui mi sono innamorato più di un anno fa: i Gentless3 di Carlo H. Natoli, un gioiello davvero in un mare di inutile banalità coverizzata.
Vi ringraziamo per la vostra disponibilità, salutate i lettori come preferite.
Noi ringraziamo voi di Grind On The Road per l’opportunità e salutiamo i lettori con l’affetto che meritano: è diventato difficile rimanere appassionati di musica inedita. Ci vediamo dal vivo, da qualche parte e offriteci da bere, il resto lo mettiamo noi.