Tra i grandi revival a cui l’industria discografica della heavy music sta assistendo in tempi recenti, uno dei più corposi è quello dello stoner e di tutto ciò che gravita attorno a questo pianeta. Diretta conseguenza ne è un sovraffollamento di band oneste ma di scarsa caratura, in quanto limitate ad un certo numero di suoni, di temi, di atmosfere. Per fortuna c’è chi riesce a manipolare in maniera originale questi stilemi: è il caso dei romani Zaibatsu. Così come il termine giapponese indica un agglomerato industriale e finanziario, ciò che viene fuori da questo debut album Zero è una grande holding di aziende stoner, prog, space, noise, gestite con la mano invisibile dell’intelligenza compositiva e di un certo alone weird e surreale che copre tutto il disco.
L’abilità di base degli Zaibatsu sta nel saper articolare tra loro ottimi riff e ottime idee, in modo del tutto singolare ma in un’ottica abbastanza catchy. Come si diceva in apertura, il linguaggio di base è quello dello stoner, del tipo meno sulfureo e desertico, anzi basato su ritmiche sostenute e dinamiche. Le iniziali “Plastic Machine Head” e “Oppenheimer’s Sister”, ad esempio, sono costruite su riff serrati e inaspettati cambi di tempo e di tema, schemi veramente prog. Lo stoner più classico riemerge a tratti in “Chemtrails” e “Mantra 3P”, con delle vocals pigre e trascinate, in bilico tra i Queens Of The Stone Age e i Red Fang meno casinisti. Ma c’è un’altra faccia della band, quella estremamente weird e istrionica di “Gnomes”, un funk distorto suonato dai Muse sotto effetto di allucinogeni, e soprattutto dell’inspiegabilmente danzereccia “Technocracy”. In questo caso, come per la conclusiva “Collateral Language”, è lecito chiedersi che tipo di trip stessero attraversando i Nostri per scrivere qualcosa di così insolito, ma che allo stesso modo è capace di insediarsi sin dal primo istante nelle orecchie dell’ascoltatore. Più che efficace: esagerando, si direbbe geniale.
Ma c’è un “ma”. Come accade in molti casi, ed è quasi normale per un debut album, questo Zero è pieno di ottimi momenti, ma lo sguardo d’insieme non convince allo stesso modo: il valore totale è inferiore alla somma della parti. Malgrado la breve durata di un disco sia in genere un punto a favore, in questo caso i quaranta minuti scarsi lasciano con un senso di incompiuto, come se la band avesse ancora frecce al proprio arco che ha preferito non sfruttare. Allo stesso tempo, però, ciò lascia presagire che allo Zero seguirà un Uno, ed è un bene, perché gli Zaibatsu dimostrano di essere un gruppo da tenere d’occhio, capace di parlare un linguaggio collaterale a quello dello stoner classico, e dunque di dare una nuova linfa vitale al genere.
(Killerpool Records, 2015)
01. Plastic Machine Head
02. Oppenheimer’s Sister
03. Chemtrails
04. Mantra 3P
05. Pirates
06. Gnomes
07. Technocracy
08. Abac
09. Starless
10. Collateral Language