Dopo il convincente Die Without Hope si era venuto a creare tantissimo hype all’interno della nutrita fanbase dei Carnifex; fortunatamente l’attesa è giunta al termine ed in questo rovente finale di estate possiamo deliziare i nostri timpani con un’accattivante mistura di deathcore e symphonic black metal.
Già, avete proprio letto bene: quella metamorfosi iniziata con Until I Feel Nothing ha raggiunto il suo completamento dando vita a quello che potremo tranquillamente etichettare come “blackened deathcore”. I Carnifex infatti hanno ibridato gli stilemi del deathcore di vecchia scuola più feroce con atmosfere dark ed una serie di riff e melodie provenienti da territori symphonic black metal. Il risultato è un sound abbastanza innovativo ma al contempo solido e ben veicolato all’interno dei confini di questo sottogenere; insomma, una trovata decisamente ben riuscita.
“Dark Heart Ceremony” apre con una lenta e funerea melodia a cui segue un incipit caratterizzato da riff monolitici e sferzate di basso esuberanti ispirate alla scuola death metal californiana, andando poi a stabilizzarsi su midtempos maestosi sui quali il vocalist Scott Lewis ci delizia alternando screaming graffianti a growl profondi. Le linee di chitarra e basso rimarcano successivamente la macilenta atmosfera posta in apertura, dando al resto del brano un taglio dannatamente oscuro. La successiva title-track sceglie un approccio più muscoloso dispiegando riff quadrati, raffiche di blast-beats, un paio di azzeccatissimi breakdown e a seguire una serie di riff di matrice black melodica sui quali aleggia lo spettro dei seminali Old Man’s Child. “Pale Ghost” rimarca ancora una volta il brand “blackened deathcore” dando vita ad un brano tenebroso ma anche dilatato e dal sapore quasi epico, all’interno del quale i Nostri mettono in evidenza il buon songwriting e le ottime doti esecutive. In “Necrotoxic” ci si imbatte in uno dei brani più violenti del platter, un vero proprio assalto sonoro caratterizzato da batteria martellante, riff incalzanti e linee vocali rabbiose, perfetto per animare i mosh-pit più forsennati; menzione d’onore per la conclusiva “Servants to The Horde”, che ci riporta sulle coordinate delle prime tracce andando però a rendere ancor più maestosa ed oscura l’atmosfera che ammanta questo brano, in un tripudio di sonorità blackened death metal che in qualche modo ricordano gli Angelcorpse.
Ed eccoci alle battute finali. Questa volta non è il caso di lesinare complimenti alla formazione di San Diego, che è riuscita a trionfare in questa sperimentazione sonora che altri, in passato (Winds of Plague su tutti), avevano già tentato senza però centrare l’obiettivo. Slow Death è un album completo, ben realizzato, incazzato ed oscuro, oltre che discretamente originale. Consigliatissimo a tutti coloro che masticano deathcore ed affini e, perché no, anche a chi predilige il classico death metal.
(Nuclear Blast, 2016)
1. Dark Heart Ceremony
2. Slow Death
3. Drown Me in Blood
4. Pale Ghost
5. Black Candles Burning
6. Six Feet Closer to Hell
7. Necrotoxic
8. Life Fades to a Funeral
9. Countess of the Crescent Moon
10. Servants to the Horde8.0