È un continuo nascere di piccole forme di vita artistica che si sviluppano in migliaia di direzioni diverse senza sosta. Come se fossimo nella stazione metropolitana di Shinjuku nell’ora di punta, ci ritroviamo immersi nella confusione. Questi frammenti di unicità musicale ci toccano o ci sfiorano appena, passano davanti o dietro a noi, a gran velocità. E noi rimaniamo immobili cercando di memorizzare quante più cose riteniamo valide. Nel folto e caotico mondo del doom/post-metal, questa volta nostrano, si stanno facendo spazio i bresciani (Echo), che a circa cinque anni di distanza dal disco di debutto tornando a trovarci stringendo tra le braccia il loro nuovo pargolo, chiamato Head First Into Shadows.
Fin dai primi minuti di ascolto dell’opener “Blood and Skin” si notano dei dettagli pregevoli, che col tempo si fanno sempre più concreti. Si nota, tanto per iniziare, una cura ancora più certosina negli arrangiamenti e nella pulizia del suono, ma andando oltre incontriamo alla voce il nuovo arrivato Fabio, capace di innalzare notevolmente il livello qualitativo, puntando di più sull’emozionalità rispetto al timbro del precedente singer, a tratti troppo duro. Il gruppo vuole chiaramente comporre qualcosa di non banale, che abbia una certa identità; se da una parte troviamo evidenti riferimenti a band come i Cult of Luna, dall’altra scorgiamo venature mediterranee e talvolta anche goticheggianti, alla maniera dei capitolini Novembre (“A Place We Use to Call Home”). Nei nuovi pezzi degli (Echo), freschi ma allo stesso tempo debitori dei “grandi”, si susseguono tastiere decadenti (Beneath this Lake”), sfuriate di nera disperazione accompagnate da arpeggi di pura malinconia (“Gone”), intrecci di voce e chitarra da pelle d’oca (“A New Maze”). Il finale, invece, è riservato all’oscurità totale (“Order of the Nightshade”).
Per quanto l’esterofilia, nel nostro Paese, non ci abbandoni mai, dovremmo essere più che mai fieri di avere nuove leve tanto valenti tra noi. Head First Into Shadows è un disco da ascoltare e riascoltare: la lunghezza è decisamente quella giusta, il rischio di annoiarsi pressoché nullo.
(BadMoodMan music, 2016)
1. Blood and Skin
2. A Place We Used to Call Home
3. Beneath This Lake
4. Gone
5. A New Maze
6. Order of the Nightshade