Parthenopean epic black metal: una di quelle definizioni che, prese di per sé, contengono un’alta probabilità di guadagnarsi la diffidenza dell’ascoltatore. Il rimando è, di riflesso, a tutta quella serie di band la cui ragion d’essere si esaurisce nell’ampollosa accozzaglia di note (nei brani) e di aggettivi (nelle cartelle stampa). La diffidenza si accentua considerando l’elemento territoriale e folkloristico: è vero che la forzata esterofilia di molti fruitori di musica estrema genera il solito discorso per cui c’è chi può e chi non può, dove chi può di solito proviene dalla Lapponia, chi non può da Polignano a Mare, ma è ormai assiomatico che l’unione di folk e metal abbia dato vita a un’estesa progenie di progetti finti e inutili.
Gli Scuorn, però, non hanno nulla a che vedere con quanto appena descritto e – lo mettiamo in chiaro sin da subito – si dimostrano una realtà di alta qualità su diversi livelli. Giulian Latte, mastermind nonché unico componente della band in studio, si fa fiero portabandiera di un sound che giustappone black metal e tradizione napoletana, dando alle stampe il debut album Parthenope. Il cosa, comunque, era evidente sin dalla prima riga di questa recensione. Noi preferiamo soffermarci sul come.
Il progetto aveva suscitato un discreto interesse a partire dalla seconda metà del 2016 grazie ai due singoli estratti “Fra Ciel’ e Terr’” e “Virgilio Mago”, che sono anche i primi due brani dell’album, nonché i più rappresentativi. Il primo non fallisce nel suo intento di mettere in note l’eruzione vesuviana del 79 d.C., stagliandosi su pattern sinfonici abbastanza canonici ma d’effetto; il secondo calca la mano sulla componente folk con melodie subliminali e maligne che aprono per un ritornello emblematico. Questo, in particolare, e insieme al chorus della successiva “Tarantella Nera”, è un vademecum di come comporre musica che sia credibilmente metal e autenticamente folk, senza snaturare né l’uno né l’altro elemento. Appare dunque lecito, nonostante le differenze nel sound proposto, un paragone con gli abruzzesi Selvans, che condividono con i partenopei la destrezza nel sintetizzare atavismo e modernità. Non solo: in entrambi i progetti la componente metallica è personale, slegata dai dettami degli anni ’90 tanto quanto da quelli delle ultime mode. Giulian si dimostra, infatti, un musicista dotato di gusto: le scelte in fase compositiva non sono mai banali né eccessivamente ricercate, le vocals appaiono viscerali, solenni, teatrali senza che la situazione sfugga di mano trasformandosi in un pacchiano musical di serie Z. Del resto è impossibile maneggiare determinati generi in modo superficiale, pena la caduta nel ridicolo. In questo senso appare fondamentale l’apporto alle orchestrazioni di Riccardo Studer, che con l’ottimo lavoro svolto negli Stormlord ha dato prova del fatto che il metal sinfonico può essere ideato e suonato in un altro modo.
Parthenope, in ogni caso, palesa anche una manciata di punti su cui si dovrebbe lavorare per ritagliarsi un posto fra i grandi del genere: gli episodi centrali appaiono deboli in confronto agli opener e alla conclusiva title-track. Dunque, nonostante la durata complessiva dell’album sia contenuta e non siano riscontrabili dei veri filler, l’attenzione dell’ascoltatore si fa altalenante e si fa vivo il rischio di perdere d’occhio l’interessante concept lirico.
Ma la bontà degli Scuorn si trova nel cuore, più che nel cervello. A prescindere dai numeri, dai voti e dalle valutazioni soggettive sui brani, l’obiettivo del progetto – pienamente raggiunto – è manifesto nella consapevolezza dell’aura nera che avvolge la tradizione mediterranea. Tangibile presa di coscienza di un folklore che troppo spesso è stato ridotto a siparietto da Notte della taranta, spogliando e comprimendo una cultura millenaria e profonda. C’erano arrivati, in modo sensibilmente più dissacrante, gli Inchiuvatu negli anni ’90; oggi gli Scuorn si propongono come degni interpreti di un messaggio molto più forte di quello che l’apparenza, quella delle etichette e dei pregiudizi, possa celare.
(Dusktone, 2017)
1. Cenner e Fummo
2. Fra Ciel’ e Terr’
3. Virgilio Mago
4. Tarantella Nera
5. Sanghe Amaro
6. Averno
7. Sibilla Cumana
8. Sepeithos
9. Parthenope
10. Megaride